domenica 1 dicembre 2013

DIFFERENTI OMOSESSUALITA' di Giancarlo Ricci


Una notazione preziosa è quella di distinguere tra differenti omosessualità. La parola stessa è ricca di malintesi e di equivoci. Il nodo è quello dell'identità sessuale, della sua storia e della vicenda soggettiva. 

Esistono differenti omosessualità. La semplificazione attuata dai media di considerare dopo averlo creato, l’individuo omosessuale come una categoria sociale “omogenea”, ha abolito le differenze all’interno del vasto e variegato campo dell’omosessualità maschile. Nella clinica le cose vanno in modo alquanto diverso. La stessa parola omosessualità risulta oggi assai generica per rendere ragione della complessità clinica della tendenza omosessuale così come si manifesta singolarmente.    
Ci sono dunque differenti omosessualità. C’è  quella  militata, gaiamente convinta. C’è inoltre un’omosessualità compulsiva che si consuma unicamente sul versante del sesso. C’è un’omosessualità che dichiara di cercare disperatamente l’amore e l’affettività. C’è un’omosessualità che rincorre il tentativo di riparare una vicenda familiare problematica dove la vicenda edipica ha preso una piega problematica. C’è un’omosessualità effeminata che procede dall’identificazione con  una donna.
C’è un’omosessualità che viene offerta come dono alla madre o che si maternalizza cercando ragazzi da amare. C’è un’omosessualità che si consuma nella ripetizione di un gioco perverso. C’è un’omosessualità rivendicativa che odia le donne. O che odia il padre o i fratelli e pertanto cerca affannosamente  qualcuno da umiliare e da degradare. Oltre all’orientamento verso lo stesso sesso, può intervenire una messa in questione del genere di appartenenza. 

OMOSESSUALITA' AGITA O FANTASMATA di Giancarlo Ricci


Introduciamo qualche riflessione intorno a un significativo “indicatore” clinico: le forme di omosessualità si differenziano anche a seconda se essa è fantasticata o pienamente praticata e agita. In altri termini se è occasionale, se è un rimedio contingente all’impulso  sessuale, se è ricercata o semplicemente fantasticata. 

       Riscontriamo dunque, in tal senso, due polarità. Da una parte un campo immaginario abitato da fantasie, curiosità, convinzioni che provengono spesso da un’ipotetica teoria sessuale infantile. Dall’altra  un’omosessualità praticata, agita ripetutamente, in alcuni casi militata tenacemente e non in modo occasionale. 
Tra la fantasia e l’agito in un certo senso passa la stessa differenza topologica che c’è tra il registro del desiderio e del fantasma, e quello del godimento inteso come incontro con il reale (Lacan). Sono due registri adiacenti ma distinti.  Le variabili in gioco sono il corpo, il modo cui cui esso è implicato pulsionalmente in carne e ossa, e l’idea di godimento, ossia le infinite varianti immaginarie progettate per raggiungere il maggior piacere. Tra queste due polarità si coniugano per ciascun soggetto differenti fantasmatiche. 
Per esempio accade di ascoltare, nel corso dei colloqui preliminari, che ciò che il paziente chiama omosessualità non è riferibile propriamente a questo termine, o quanto meno essa risulta un aspetto marginale o supplementare di una problematica di tutt’altra natura. Possiamo trovare, inoltre, nel discorso di alcuni pazienti, una serie di enunciazioni che collocano la questione dell’omosessualità in modi diversi: dall’ambito della vita pulsionale alla relazione oggettuale, dall’ideale narcisistico a una dimensione di sfida o di trasgressione.  Ci può essere insistenza, ripetizione, costrizione, tentazione, il non poter farne a meno. Le sfumature sono infinite. 

giovedì 14 novembre 2013

DA DOVE VIENE L'OMOSESSUALITA' di Giancarlo Ricci


Tra le principali cause psicologiche che concorrono all’origine dell’omosessualità maschile, molta letteratura psicologica concorda nel ritenere decisivo il tema del padre assente. Per evitare facili banalizzazioni dobbiamo chiederci in che senso dobbiamo intendere questa assenza.


Non si tratta semplicemente di un padre che non è stato presente fisicamente nella relazione con i figli e nella vita della famiglia. Certo, la presenza concreta è importante, spesso essenziale. Ma ci può essere un’altra modalità più sottile in cui il padre risulta assente: accade quando nella parola della madre la figura del padre è stata espunta, umiliata o degradata. In altri termini, se l’istanza del padre non compare nel discorso della madre, significa che per il figlio è come se simbolicamente egli non esistesse. E qui le cose possono di complicarsi.  
Qualora una madre ritenga di poter fare a meno della terzietà rappresentata dal padre, in qualche modo rischia di rendere difficile il processo psichico che accompagna la crescita del figlio, in particolare rischia di ostacolare l’identificazione del figlio con il genere del genitore. Il riferimento a una imago maschile paterna è infatti decisivo in quanto consente al figlio di riconoscersi in quanto maschio e di identificarsi al suo statuto virile, di assumerlo. Invece una madre che situi il figlio quale oggetto d’amore esclusivo e totale, indebolisce o addirittura compromette tale processo di riconoscimento.

Sul versante del figlio, questi avverte immediatamente - talvolta in modo drammatico - di essere chiamato a colmare o completare la mancanza della madre. Se il padre consente questa operazione senza intervenire, è come se abbandonasse il figlio in balìa all’onnipotenza materna. Si attua allora dal parte del figlio verso il padre quella che alcuni psicologi (John Bowlby) chiamano “distacco difensivo”. Molti studiosi (Freud, Klein, Winnicott, Lacan) si sono soffermati sulla constatazione che nella crescita psicologica del bambino è fondamentale che egli possa attuare un’identificazione positiva con la figura maschile. Se questo processo si svolge in modo problematico, l’identità sessuale del figlio può risultare difficile, esposta a una deriva, a un disagio che si manifesterà più avanti in vari modi. Il punto cruciale di solito emerge tra la pubertà e l’adolescenza, cioè in quel momento “di verità” in cui il soggetto incomincia seriamente a fare i conti con il proprio statuto sessuale. 

domenica 20 ottobre 2013

L'IDEOLOGIA GENDER E IL FUTURO di Giancarlo Ricci


Pubblichiamo alcuni passi dal libro di 
Giancarlo Ricci L'atto la storia (Ed. San Paolo) 
che viene presentato il 7 novembre 2013 alle ore 18 
presso il CENTRO SAN FEDELE di Milano (via Hoepli 3 b).
 Alla presentazione oltre l'autore, intervengono 
ROBERTO MUSSAPI (poeta e scrittore) e 
SILVANO PETROSINO (filosofo). 


"Si sopravvive, invece che vivere, quando un progetto relativo al futuro viene meno, quando svanisce lo sguardo lontano rivolto a coloro che verranno. Senza questo sguardo svanisce la testimonianza, l’idea di patrimonio e di eredità, vacilla la funzione stessa di padre. Sparisce l’istanza del debito simbolico e pertanto ciò che abbiamo ricevuto possiamo dissiparlo, bruciarlo nel tempo di un godimento senza desiderio. 


L’atto di Ratzinger allude pienamente a questa metafora dell’arca: non garantisco più che essa, un volta in preda al diluvio - le acque già salgono turbinose - possa ancora galleggiare e navigare. Semplice: l’arca è stata sabotata ripetutamente. Nel nome di un’alleanza, dovevano entrarci “due di ogni specie”, un maschio e una femmina, affinché fosse garantita la prosecuzione delle specie, affinché potesse esistere trasmissione, verticalità delle generazioni, discendenza, filiazione, memoria. Insomma per garantire che la civiltà potesse crescere e abitare un possibile futuro. 

Non è un caso che negli ultimi mesi Benedetto XVI abbia più volte e fortemente insistito nel porre l’accento sui pericoli della “nuova filosofia della sessualità”, ossia la teoria gender, ritenuta “un attentato al quale oggi ci troviamo esposti”. Possibile che debba essere un Papa a mettere in evidenza una tra le tante implicazioni promosse dalla svolta neoliberale? In effetti il Pontefice segnala la trappola di un concetto di libertà (per esempio sessuale) che persegue il principio secondo cui quante più opportunità abbiamo a disposizione, tanto maggiore è la libertà che crediamo di poter esercitare. E di conseguenza quanto più crediamo di essere liberi tanto più immaginiamo di essere felici.

mercoledì 4 settembre 2013

SULLA VIOLENZA DI GENERE di Sarantis Thanopulos

In merito al dibattito sul femminicidio e sulla differenza tra i sessi, pubblichiamo alcuni passi dell'articolo 
NON E' VIOLENZA DI GENERE 
dello psicoanalista Sarantis Thanopulos uscito su Il Manifesto 
il 31 agosto nella rubrica "Verità nascoste".
L'intero articolo può leggersi andando su:



Spesso definizioni poco appropriate di un fenomeno hanno la meglio su definizioni più rigorose perché appagano la pigrizia con cui ci si difende dalla complessità della vita. A volte il danno è minimo, altre volte, invece, nascono fraintendimenti pericolosi. Questo è il caso della «violenza di genere», un modo di definire la violenza contro le donne che aggiunge allo schematismo delle formule ad effetto un sostegno involontario al meccanismo che produce l'aggressione.
Parlare di violenza di genere significa commettere due errori: concepire la donna e l'uomo in modo indipendente dalla loro complementarità e attribuire all'uomo una violenza nei confronti della donna connaturata al suo modo di essere (e risalente al suo patrimonio genetico). In entrambi i casi la vittima predestinata è la sessualità: si pretende di considerare la relazione sociale tra i due sessi a prescindere dal legame di desiderio (come se si pretendesse che gli edifici restassero in piedi indipendentemente dalla forza di gravità). La violenza nei confronti della donna è sociale e danneggia egualmente uomini e donne come soggetti sessuali. Nella sostanza danneggia più l'uomo che la donna perché l'uomo violento perde il suo oggetto del desiderio e subisce una deprivazione psichica devastante.
Una donna può essere sopraffatta dalla violenza ma restare internamente viva mentre l'uomo sopraffattore è già morto dentro. In realtà l'oggetto dell'aggressione non è la donna in sé, intesa come «genere», ma la qualità femminile del desiderio, la possibilità stessa del coinvolgimento profondo e del godimento vero in entrambi i sessi. Il coinvolgimento fa paura perché comporta l'esposizione al desiderio dell'altro ma anche perché è intimamente connesso - sul versante maschile del desiderio - con la passione di appropriazione che rischia, se non è adeguatamente modulata, di distruggere ciò che ha tra le mani […]. Ignorare la complementarità dei sessi (che sottende parimenti l'erotismo eterosessuale e quello omosessuale) ricorrendo alla definizione separata di «generi» (ritorno alla compulsione tassonomica) significa creare due entità astratte e artificiali per cercare poi disperatamente di accordarle tra di loro senza venirne mai a capo. 

domenica 25 agosto 2013

REGOLARE LE CONVINZIONI MORALI E' UN VIZIO

Di Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera
riportiamo alcuni passi del suo articolo 
"Regolare le convinzioni morali è un vizio" (Corriere, 10.8.13). 
L'articolo si può leggere interamente a:

Precedentemente era intervenuto, con lucidità e passione civile, definendo inutile la legge contro l'omofobia (Corriere, 3.8.13)


Stabilire per legge ciò che è «politicamente corretto» e ciò che non lo è, significa teorizzare e codificare il reato di opinione. È quello che ho cercato di spiegare nell'articolo in cui ho definito inutile la legge contro l'omofobia [Corriere, 3.8.13]. Pare, però, abbia sollevato la critica dei soliti «laici, democratici, antifascisti» in servizio permanente ed effettivo; che sono, poi, col fascismo storico - detto ironicamente, ma perspicuamente - l'altra forma di fascismo instauratasi dopo la caduta del primo e a seguito di una malintesa idea di democrazia [...]. 


 Ho scritto che, per me, picchiare qualcuno è un reato. Punto e basta. Per i promotori del progetto di legge contro l'omofobia, picchiare un omosessuale è, invece, un'aggravante perché rivela un'«intenzione omofobica». Mi rendo conto che sarebbe pretendere troppo che certi nostri parlamentari conoscano la crociana «distinzione» fra Etica e Politica e fra Etica e Diritto. Ma se, almeno, capissero che l'«intenzione omofobica» è un'opzione morale, che riguarda la soggettività delle coscienze, e picchiare qualcuno è un reato che riguarda, oggettivamente, il Diritto e che, confondendo l'una con l'altro, ci sia avvia su una china pericolosa, non mi parrebbe chiedere troppo da parte loro. Così, insisto.

L'«avversione per l'omosessualità» - ciò che chiamiamo omofobia - è un'opinione eticamente sbagliata e moralmente censurabile, ma non è un reato. Giuridicizzarla significa confondere Etica e Diritto e creare le condizioni del reato d'opinione. Una volta approvata la proposta di legge contro l'omofobia, salterebbe fuori, prima o poi, qualche Procuratore della repubblica troppo zelante che si sentirebbe in dovere di «raddrizzare il legno storto dell'umanità» incriminando per omofobia chi dicesse che non si farebbe mai vedere in giro con un omosessuale.


Una opinione stupida, ma pur sempre, e solo, un'opinione. Se, inoltre, ciò comportasse anche il rischio di incriminazione dei credenti di religioni per i quali l'omosessualità è «un vizio», è una pratica «contro natura», saremmo nello Stato teocratico che assimila il peccato al reato. Sparirebbe la separazione fra Chiesa e Stato.
L'eccessiva regolamentazione dei comportamenti sociali, per non dire delle convinzioni morali, non è una virtù della democrazia, bensì è il vizio di ogni totalitarismo e di ogni autoritarismo. 

sabato 24 agosto 2013

OMOSESSUALITA': E' UN DATO NATURALE?


Pubblichiamo alcuni passi della recensione 
a cura di Armando Ermini sul libro di Giancarlo Ricci IL PADRE DOV’ERA. 
Le omosessualità nella psicanalisi (Sugarco). 
La recensione, uscita nel maggio 2013, è leggibile sul blog:
 http://maschiselvaticiblog.wordpress.com/2013/05/31/il-padre-dovera-2/



I concetti cardine intorno ai quali si sviluppa questo lavoro di Giancarlo Ricci, psicanalista di scuola lacaniania, possono essere così sinteticamente definiti: 
  • L’omosessualità non è una malattia organica da guarire in senso “sanitario, medicalistico, oggettivabile”.  La guarigione, perciò, consiste in un percorso durante il quale il paziente che manifesta un disagio, è chiamato a scoprire il significato e il senso del sintomo. È quindi un concetto aperto, che potrà significare tanto la permanenza nella propria situazione quanto l’uscita da essa. 
  • Compito dell’analista è accompagnare il paziente in questo percorso di cura di sé, senza forzarlo o indirizzarlo secondo le proprie convinzioni. Il contrario, dunque, di un approccio ideologico che voglia per forza far uscire il soggetto dalla condizione omosessuale o che, all’opposto, si ponga l’obbiettivo di fargliela accettare come un dato naturale. Quest’ultimo è ormai l’approccio prevalente in Occidente, per il quale non esistono differenze fra omosessualità ed eterosessualità, e dunque il disagio sarebbe solo frutto di condizionamenti culturali (...).
  • Non esiste l’omosessualità come categoria onnicomprensiva, ma molti tipi di omosessualità, in un certo senso tante quante le persone omosessuali, le cui vicende personali sono irriducibili l’una all’altra. 
  • Rimane tuttavia il fatto innegabile che  “ciascun soggetto nasce dallo statuto imprescindibile di figlio che implica l’esistenza di una madre e di un padre”. È quindi nello scenario familiare, nell’assenza fisica o psichica di uno o entrambi i genitori, o nella loro iperpresenza che schiaccia, che si svolge il processo di sessuazione o acquisizione dell’identità sessuale (...). 
  • È un fatto constatabile anche empiricamente che la diffusione dell’omosessualità  e della confusione fra i generi in Occidente è parallela al declino del codice paterno.  L’ideologia del Gender  “fa fuori il  padre, lo espunge”, spesso con la complicità degli stessi padri che, fuggendo da se stessi, rinunciano a rompere il legame simbiotico madre/figlio  con ciò confermando la propria irrilevanza. 
  • Il fenomeno, naturalmente, non è senza effetti anche sul piano sociale. Il padre è colui che pone un limite al godimento e norma le sue declinazioni, e quindi la sua “evaporazione”  è direttamente funzionale alla moderna società dei consumi che proprio sulla pretesa di un godimento illimitato si fonda. Esiste però un equivoco da chiarire. Contrariamente alla vulgata ormai prevalente, alimentata dai movimenti femministi (e da coloro che ad essi non hanno il coraggio di opporsi), il limite paterno non è semplicemente interdizione e controllo del desiderio e del godimento. (...).  Fin qui Ricci. 

domenica 7 luglio 2013

SESSO E DISCRIMINAZIONE


Pubblichiamo alcuni passi dell'articolo IL SESSO DEI GIACOBINI di Roberto de Mattei, uscito su IL FOGLIO il 3 luglio 2013. 
Il testo completo è leggibile  presso:  
La Rivoluzione culturale del Sessantotto aveva proclamato la fine della famiglia, definendo il matrimonio un “peccato sociale”, per il suo esclusivi- smo. Oggi le comunità Lgtb (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) lo rivendicano non come punto di arrivo, ma come tappa di un itinerario che ha ben altra mèta. 
La richiesta di legalizzazione del cosiddetto “matrimonio gay” è in realtà una rivendicazione sociopolitica che mira esclusivamente a togliere alla famiglia la protezione sociale che essa ha fino a oggi avuto in occidente in ragione della sua insostituibile funzione sociale. Sotto questo aspetto, il cardine dell’ideologia omosessualista non sta in ciò che afferma, ma in ciò che nega, non in ciò che dice di volere, ma in ciò che realmente aborre: in una parola non nella rivendicazione del matrimonio e dell’adozione di bambini, ma nella volontà di espropriare la famiglia dai diritti e dai privilegi che in molti paesi, come l’Italia, ancora vengono accordati a questa istituzione dalle leggi e dalla Costituzione. La rivendicazione del “matrimonio omosessuale” è proprio per questo inscindibile dall’introduzione del reato di omofobia. (...) L’“orgoglio omosessuale” si propone di capovolgere questa prospettiva e trattare come “anormali”, “devianti”, “indegni”, gli omofobi, ovvero tutti coloro che criticano l’omosessualismo per affermare il primato della famiglia naturale.  
 Ma i diritti fondamentali, a cominciare dalla libertà di espressione, oggi sono garantiti a tutti dalla legge, compresi   gli omosessuali. Se la legge sull’omofobia, su cui esiste “larga intesa” nel nostro Parlamento, andasse in porto, il diritto della libertà di espressione sarebbe negato solo ai difensori dell’ordine tradizionale. Un sacerdote dal pulpito o un professore dalla cattedra non potrebbero presentare la famiglia naturale e cristiana come “superiore” alle unioni omosessuali, senza che questo costituisse una “discriminazione” degna di sanzione penale.


venerdì 7 giugno 2013

IL SOGGETTO DELL'INCONSCIO E LA TEORIA DEL GENERE di Christian Dubuis-Santini


Pubblichiamo la traduzione di alcuni passi dell'articolo
"1984" di Orwell è oggi
dello psicanalista francese Christian Dubuis-Santini in cui accenna alla radicale differenza tra la concezione del soggetto secondo  Jacques Lacan e secondo l'ideologia di genere.
Per l'articolo completo vai a:

I sostenitori della Teoria del Genere non vogliono saperne nulla del soggetto della psicanalisi, soggetto che è definitivamente irriducibile alle storie che egli può raccontare a se stesso o sul mondo, ossia è un soggetto “vuoto” e in quanto tale costituisce l’angosciante promessa della nostra possibile libertà [...].
L’uomo, l’individuo, la persona, il soggetto sono parole che definiscono un certo orizzonte di senso o di non senso. Nella tradizione filosofica prima di Jacques Lacan, ciò che era chiamato soggetto - l’ermeneutica del soggetto di Michel Foucault per esempio - non era pensato in quanto sessualizzato, ovvero la sessuazione era considerata come qualcosa che accade a livello empirico, contingente. Prima di Jacques Lacan il soggetto veniva ipotizzato a prescindere dalla sessuazione.
   Nella teoria psicanalitica è esattamente l’inverso: la sessuazione viene posta come condizione formale a priori della costituzione di un soggetto; ragione per cui (tra l’altro) il soggetto dell’inconscio, il soggetto nella psicanalisi, risulta un soggetto diviso, scisso, barrato, inconsistente. La differenza sessuale tematizzata da Jacques Lacan, con la sua ineluttabile sessuazione implicata nei “parlesseri”, non può dunque mai coincidere con la problematica decostruzionista della “costituzione sociale del genere” così come viene ipotizzata dalla Teoria del Genere; in effetti un abisso separa i due approcci, quello psicanalitico e quello del genere.

 Quando Jacques Lacan afferma che la differenza sessuale si svolge nel registro del “reale”, non dice che se voi non occupate il posto che vi viene attribuito dall’ordine eterosessuale, in quanto uomo o in quanto donna, siete esclusi dall’ambito simbolico. Egli dice semplicemente che non c’è norma sessuale. Del resto affermare che la differenza sessuale appartiene all’ordine del “reale” significa affermare che essa ha lo statuto dell’impossibile: impossibile a dire, a formularsi, a esprimere in elementi della catena significante, impossibile da articolarsi mediante parole.

domenica 2 giugno 2013

OMOSESSUALI SI NASCE ? di Giancarlo Ricci


Si nasce omosessuali? Questa facile battuta (senza il punto di domanda) fa appello alla semplificazione demagogica. Professa l’innatismo: si nasce così e basta. E’ la natura a decidere. Dunque non c’è nulla da fare, se non, come spesso raccontano alcuni pazienti, di “accettarsi così”. Ma molto, quasi tutto, dipende da come si intende la parola nascita: venire al mondo, cominciare ad esistere, provenire, derivare, sorgere.

Agli antipodi di un’accezione biologistica, il verbo nascere, su cui qui ci soffermiamo,  contiene in sé il concetto di trasformazione, di movimento, di passaggio. Dall’atto alla potenza per dirla con Aristotele. Nascere indica e implica un incominciamento. Eppure oggi, molto spesso, quando qualcuno afferma che “si nasce omosessuali”, fa riferimento direttamente a un’accezione biologica e genetica.  Il rischio è di credere in un assolutismo che fa piazza pulita di ogni parvenza di soggettività facendola sparire, annullandola.
Che cosa implica questa visione biologistica e come viene utilizzata? Quasi sempre, nel discorso ideologico, la certezza biologica e genetica,  diventa il garante assoluto e indiscutibile che giustifica l’omosessualità. In definitiva sposta l’omosessualità in un territorio apparentemente neutro e inaccessibile che è la natura, la natura nell’accezione biologica, genetica, cromosonica. E’ il regno incontrastato dell’assoluto.   

Il riferimento ultimo al dato biologico rischia sempre più di essere utilizzato oggi in modo strumentale, in diversi ambiti e non solo nel caso  dell’omosessualità. Il nostro modo di procedere, che non nega un’eventuale predisposizione all’omosessualità, propone un’altra accezione di nascita che è agli antipodi della visione biologica. 
Ci inoltriamo velocemente in un'articolazione differente che tiene conto dell’istanza dell'inconscio e dei processi identificativi in gioco nel soggetto. Quando la psicanalisi esplora ciò che risulta implicato nella nascita di un individuo, tiene conto di diversi elementi. Per esempio studi recenti si soffermano sullo scenario inconscio della coppia, in particolare su quello della futura madre,  ovvero le sue fantasmatiche, il funzionamento del suo desiderio inconscio di diventare madre, il rapporto con la propria madre. 

giovedì 30 maggio 2013

LEGGE SUI MATRIMONI GAY: I FATTI SMENTISCONO


Dal quotidiano IL FOGLIO (del 30.5.13) l’articolo di Roberto Volpi informa in merito a una tendenza significativa: “Fatta la legge, i gay in Europa non si sposano più. Lo dicono i numeri”. Ne riportiamo alcuni passi. 
Per leggere l’articolo completo: http://www.ilfoglio.it/soloqui/18421

“[…] Il matrimonio omosessuale, quantitativamente parlando, sta disattendendo le attese. Non ha sfondato in Olanda. In Spagna, dopo la punta di oltre 4 mila nel 2006, primo anno dopo l’approvazione nel 2005, la cifra dei matrimoni omosessuali si è assestata sopra i 3 mila senza più superare i 3.500 all’anno: cifre nettamente inferiori anche rispetto alla più contenuta delle previsioni. Stesso andamento in Inghilterra: boom nel primo anno (anche lì il 2006) dopo quello dell’approvazione, poi un calo progressivo e un assestamento che ha portato i “same-sex marriage” a pesare per poco più del due per cento sul totale dei matrimoni. 
      Mancanza di entusiasmo, dunque. “Lack of nuptial enthusiasm among gay couples”, come la definisce Vera Bergkamp, che cerca di darsene una spiegazione. Anzi, tre. Minore pressione sugli omosessuali esercitata da famiglia e amici; meno coppie gay che si sposano per avere bambini delle corrispondenti coppie eterosessuali; più individualismo e meno orientamento alla famiglia tra molti omosessuali […]. Detto in termini spicci: si profila, all’interno dell’“inverno” del matrimonio, il fallimento di quello omosessuale.
    Se proprio quel fallimento non è già nelle cose. A dirlo sono come sempre i numeri. Tornando  all’Olanda: dopo dieci anni in flessione, dal riconoscimento dei matrimoni omosessuali appena una coppia omosessuale su cinque (che dunque già convive) risulta sposata. I trionfi del matrimonio omosessuale, dunque, appaiono soprattutto mediatici e preventivi. Caso significativamente assai diverso da quanto avvenuto per altre “conquiste civili”. […] Un tale, comune andamento svela quel tanto di artificiosità, di invenzione tutta politica che c’è nel matrimonio omosessuale. Quell’eccesso legislativo, nel senso dei diritti, che va tanto di moda perseguire ma che più che corrispondere a dati di realtà solletica e tende a ingraziarsi segmenti di società particolarmente attivi che, della realtà, si ergono a interpreti e rappresentanti, non sempre essendolo veramente.
   Mentre invece il riconoscimento delle coppie omosessuali e dei loro diritti è qualcosa che ha un senso pieno e avvertito come tale, il matrimonio no: sono i comportamenti concreti a svelare questa verità. I loro stessi atteggiamenti concreti. Quando non addirittura gli stessi, concreti giudizi delle organizzazioni direttamente coinvolte. Le loro stesse, oneste, ammissioni.

mercoledì 29 maggio 2013

UNA NUOVA E CRESCENTE MALINCONIA OMOSESSUALE


Pubblichiamo l’articolo dello scrittore Antonio ScuratiLa crescente malinconia omosessuale” uscito su “La Stampa” del 28.5.13.
Dalla premiazione al Festival di Cannes del film che racconta la storia di un amore lesbico al gesto suicida dello storico Dominique Venner in Notre Dame a Parigi: “Ci ritroviamo tutti - osserva Antonio Scurati - qualunque siano le nostre idee e i nostri sessi, nel chiaroscurale travaglio culturale 
attraverso il quale l'essere umano genera se stesso 
in una storia aperta al rischio e al fallimento”

"Vivere liberamente, esprimersi liberamente, amare liberamente”. Lo ha proclamato Abdile Kechiche dal palco del Festival di Cannes ricevendo la Palma d'oro per «La vie d'Adèle», storia di amore lesbico tenero e appassionato tra due giovani donne. Mentre in Costa Azzurra si celebrano i fasti cinematografici dell'amore lesbico in scintillanti serate a inviti, a Parigi, centinaia di migliaia di persone affollano la Spianata degli Invalidi per protestare contro la legge che elimina ogni riferimento all'identità sessuale dal codice civile, e con esso il concetto di padre e di madre. Tutti «invalidi» mentali e sentimentali questi angosciati oppositori del libro amore? 
Abbiamo, dunque, da un lato i seguaci dello scrittore Dominique Venner, il vecchio kamikaze d'Occidente feroce e delirante che, vestito di tutto punto, si spara un colpo al cuore sull'altare di Notre Dame per protestare con la propria morte contro i matrimoni gay e, dall'altra parte, le fanciulle in fiore che si amano liberamente sulla croisette di Cannes esaltate nello splendore giovanile dei loro corpi nudi dal regista franco-tunisino emancipatesi dall'oscurantismo islamico per convertirsi al radioso progressismo occidentale? Temo di no, temo che sarebbe un errore abbandonarsi alla consolante contrapposizione tra vecchi e giovani, progressisti e reazionari, liberi (buoni) e cattivi (da captivus, che è fatto prigioniero in guerra e vive in servitù). Posto in questi termini, il trionfo cinematografico dell'amore lesbico rischia di essere l'ennesimo lavacro per la falsa coscienza di un Occidente decadente votato a un progressismo di facciata. 
Disegno di Francesca Magro, 2009
Questa pregiudizievole contrapposizione tra liberi e cattivi si prolunga, nel dibattito giornalistico, in quella tra natura e cultura. Da un lato ci sarebbero i retrivi, ottusi sostenitori dell'idea che i ruoli sessuali si fonderebbero su una fantomatica «natura umana» e dall'altro gli alfieri della illuminata consapevolezza riguardo al fatto che i generi sessuali sono frutto di processi culturali. Se, però, abbandoniamo questa versione caricaturale, ci ritroviamo tutti, qualunque siano le nostre idee e i nostri sessi, nel chiaroscurale travaglio culturale attraverso il quale l'essere umano genera se stesso in una storia aperta al rischio e al fallimento. 

martedì 28 maggio 2013

L'INCONSCIO E LA DIFFERENZA UMANA


Riportiamo la recensione di Giuseppe Bonvegna "Il vero desiderio dell’uomo smaschera l’ideologia gender”  (ilsussidiario.net,26.5.2013)   http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2013/5/26/LETTURE-Il-vero-desiderio-dell-uomo-smaschera-l-ideologia-del-gender/396587/
al libro di MARIO BINASCO La differenza umana. L’interesse teologico della psicoanalisi (Cantagalli Ed., Siena)


"Il volume La differenza umana in certe parti sembra concepito per addetti ai lavori, vale a dire con la finalità di aiutare gli operatori di cure psicologiche (o anche semplicemente di relazioni d’aiuto) a far bene il loro lavoro tenendo conto di tutti fattori in gioco.
Non sono esperto del settore, ma credo che Mario Binasco [psicoanalista di scuola lacaniana, docente al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II e tra i fondatori dell’ICLeS]  abbia in mente una relazione d’aiuto o di cura aliena da qualsiasi tentazione tecnicista: essa vuole guardare all’umano in tutti i suoi fattori, nella consapevolezza che il problema dell’uomo (per dirla con Martin Buber) non sempre è risolvibile con un farmaco che “curi” (o piuttosto modifichi) uno solo degli immaginari compartimenti stagni dei quali si presume che l’essere umano sia la sommatoria.
 No, l’uomo, come diceva sant’Agostino, è una grande questione e come tale merita di essere trattato. Una cura soggettiva che smarrisse questa consapevolezza sarebbe destinata al fallimento. Il desiderio, infatti, secondo Binasco, «non è del tutto opaco all’analisi» (p. 23), la quale, attraverso il suo metodo e i suoi dispositivi pratici, riscopre «proprio ciò che della realtà umana è stato più difficile includere nel discorso scientifico moderno, la soggettività» (p. 17).E allora si capisce in che senso, secondo l’autore, il sesso unisce gli animali e non gli uomini: c’è, nell’umano, un orizzonte di simbolizzazione e di significato che trascende la materialità con la quale però ci permette di confrontarci, e che obbliga, volenti o nolenti, a considerare la sessualità come un’azione che diventa violenza se non è il risultato dei conti fatti col sesso all’interno di quell’orizzonte.
Checché ne dica il bigottismo fintamente moderno dei cantori dell’ideologia del gender, i quali non possono non finire per considerare l’attività sessuale come un qualcosa di non umano, paradossalmente proprio per un eccesso di arbitrio “umano”: sostenere, infatti, (come fa la “gender theory”) una non dipendenza dell’elaborazione dell’identità sessuale dal possesso reale di determinati organi sessuali significa sostenere che il corpo non è più un riferimento e una “pietra d’inciampo” reale da cui dipende la complessa “sessuazione” (termine lacaniano usato dall’autore) degli individui, e si può pensare di trattarlo in modo del tutto arbitrario come un mero oggetto di consumo. 

mercoledì 22 maggio 2013

ORIENTAMENTI SESSUALI di Sylviane Agacinski


La filosofa francese Sylviane Agacinski è autrice di un lungo saggio dal titolo "La metamorfosi della differenza sessuale", pubblicato sulla rivista Vita e Pensiero (Milano, marzo-aprile 2013). Ne pubblichiamo un paragrafo. 
Per leggere (quasi) l'intero saggio vai a:
http://www.scienzaevita.org/rassegne/4992e2aefddacf70d4db86c34511d067.PDF

La diversità degli orientamenti sessuali non sopprime la dualità dei sessi: la conferma, anzi. In effetti, possiamo parlare di orientamenti - eterosessuali, omosessuali o bisessuali - solo se supponiamo fin dall’inizio che esistano almeno due sessi.

Che si desideri l’altro sesso, o che al contrario non lo si possa desiderare, significa che i due sessi non sono equivalenti. L’assenza di equivalenza è confermata anche dalla sofferenza di coloro, maschino femmine, che esprimono un imperativo bisogno di cambiare sesso. La queer theory sostiene però che la differenza sessuale non sia data, che sia in fin dei conti sfumata, forzata e instabile e che i corpi sessuati siano di fatto il prodotto di un insistente “modellamento disciplinare” socialmente imposto.
Gli umani, sessualmente indeterminati o fluidi, sarebbero costretti a piegarsi a norme sociali di genere e a svolgere un ruolo sessuato. Avrebbero così, a posteriori, l’illusione di essere sessuati. Judith Butler può quindi scrivere che “il sesso è una costruzione culturale alla stessa stregua del genere”. Questa riduzione dei sessi ai generi sembra svelare un approccio superficiale ai sessi: superficiale nel senso che resta alla superficie del fenomeno. Se è vero, infatti, che i generi maschile e femminili, cioè gli attributi sociali e culturali dei sessi sono davvero socialmente istituiti, tali attribuzioni non aboliscono la sessuazione che è di un altro ordine. Di che ordine e a che registro appartiene? 


domenica 19 maggio 2013

NOZZE GAY IN FRANCIA: VOCI DISSIDENTI

L'articolo "Il nostro no laico alle nozze gay" uscito sul quotidiano l'Avvenire il 26.4.13 a firma di Daniele Zappalà, espone alcune posizioni espresse da intellettuali francesi 
in merito alla nuova legge sui matrimoni gay in Francia.  
Il dibattito in atto, che si raccoglie intorno al movimento
Manif Pour Tous, raccoglie posizioni differenziate contrarie alla legge. 

I vertici politici socialisti speravano forse di capitanare un esercito d’intellettuali organicamente solidali con il "cambiamento di civiltà" perorato da Christiane Taubira, guardasigilli e relatrice principale del testo. Ma, invece, l’esecutivo ha dovuto presto prendere atto dell’alto muro di scetticismo o aperta avversione innalzato da buona parte della Francia dotta, ben al di là del mondo cattolico. Si prenda il brillante romanziere e saggista Jean d’Ormesson, da anni il più popolare fra gli "immortali" che siedono all’Accademia di Francia. Dopo aver spiegato la propria opposizione soprattutto alle adozioni omosessuali, lo scrittore si è scagliato così contro lo slogan più martellato dai socialisti: «Il dibattito sul matrimonio omosessuale non è una questione di morale, ma una questione di grammatica, dato che l’espressione "matrimonio per tutti" è una formula assurda».
Il noto filosofo Yves-Charles Zarka ha invece interpretato il progetto Taubira come una spia rossa per l’intero Paese. La Francia starebbe entrando nel novero delle nazioni che «non sono più delle società d’individui che hanno legami oggettivi, ma delle società d’individui ripiegati su loro stessi, che si definiscono unicamente attraverso i propri desideri individuali diversi, cangianti e scostanti, e che vivono ciò che resiste ai loro desideri come dei vincoli esterni insopportabili».

Severo è stato pure il giudizio di Aldo Naouri, pediatra divenuto celebre per i suoi saggi sulle relazioni familiari: «Il bambino soffre oggi della condizione di oggetto di consumo», ha scritto, pienamente convinto che l’applicazione del progetto di Christiane Taubira «accentuerebbe questa condizione». Un collettivo di 20 noti filosofi, sociologi, psichiatri e psicanalisti ha pubblicato su “Le Monde” un intervento intitolato Non si toccano papà e mamma. L’avversione degli autori è esplicita: «"Il matrimonio per tutti è una lotta democratica contro la discriminazione e le disuguaglianze? Si tratta invece piuttosto di annullare la differenza dei sessi nei libretti di famiglia e nel codice civile. La nascita di tutti i bambini ne risulterà sconvolta».
La romanziera Eliette Abecassis è invece una delle 55 donne del mondo della cultura che hanno costituito il collettivo "Simone", per denunciare a loro volta con forza la violenza e le discriminazioni implicite del progetto Taubira: «Il bambino, soggetto di diritto, diventa un oggetto di diritto: la legge l’istituzionalizza. I diritti e l’interesse superiore del bambino sono così sacrificati a favore dell’interesse degli adulti, i soli ad aver voce in capitolo, nel realizzare il loro "progetto" di figlio. Ora, un bambino non è un "oggetto", né un "progetto", ma una persona».