martedì 15 aprile 2014

PRONTI I CERTIFICATI ANTIPEDOFILIA di Giancarlo Ricci


Il libro Pedofilia. Una battaglia che la Chiesa sta vincendo
di Massimo Introvigne e Roberto Marchesini (SugarCo) 
fa il punto sulla problematica della pedofilia
dal punto di vista storico, filosofico, clinico. 
Intanto la recente approvazione del "Rapporto Lunacek" 
da parte  del Parlamento Europeo e 
l'obbligo del "certificato antipedofilia
passano sotto silenzio.



“La marcia verso la normalizzazione della pedofilia procede apparentemente inesorabile ed inarrestabile”, osserva Roberto Marchesini (psicologo e formatore).  Il suo contributo, assieme a quello di Massimo Introvigne, lo troviamo in un libro dal titolo Pedofilia. Una battaglia che la Chiesa sta vincendo (SugarCo, 2014).
Mentre Introvigne riconsidera tutta la questione della pedofilia nell’ambito della Chiesa, “scandali” e strumentalizzazioni incluse, il contributo di Marchesini svolge un approfondimento storico, filosofico e soprattutto clinico. E’ un contributo poliedrico, essenziale che inquadra la questione nei suoi svariati aspetti: dalle ambigue definizioni psichiatriche alla classificazione sempre meno ristrettiva da parte del DSM 5, dall’analisi dei movimenti pedofili alle strategie comunicative che i mass media utilizzano per far passare un’idea normalizzante di una perversione sempre più “accettabile”. Del resto è sempre più urgente distinguere, come propone Marchesini nelle prime pagine del suo contributo, tra pedofilia, pederastia, efebofilia e le dinamiche psichiche e psicologiche che ne sono alla base. Solo distinguendo  infatti è possibile cogliere la complessità di un fenomeno che si sta diffondendo sempre più, dal turismo sessuale a una cultura lassista e indifferente in cui “tutto è possibile”. 

Lo dimostra brillantemente l’iniziativa ministeriale che, su direttiva comunitaria, impone l’obbligo, per coloro che lavorano “a contatto” con minori, di un “certificato antipedoflia”, in pratica la verifica del casellario giudiziario. Curiosa vicenda, indice e sintomo di come la società risponde unicamente in termini giudiziari di fronte a quelle questioni esplosive che non è in grado di affrontare altrimenti, ad esempio in termini culturali, di educazione, di formazione, di progetto di civiltà. Curiosa questione, ulteriormente, che a imporre questa procedura burocratica sia stata (essenzialmente) la Germania in cui la pedofilia raggiunge livelli da record, insieme ad altri paesi nordici. Non preoccupiamoci: il nuovo DSM 5, appena uscito, proclama disinvoltamente che le “parafilie non sono da considerare ipso facto disturbi mentali”. In termini storici non possiamo fare a meno di osservare che ciò che accade oggi a proposito delle parafilie (tra cui la pedofilia) accadeva quattro decenni or sono per l’omosessualità, quando fu derubricata dal DSM. 

E ancora, da un altro punto di vista storico e politico, per seguire il tema scottante della pedofilia e del suo uso mediatico, abbiamo in questo libro il notevole contributo di Massimo Introvigne. Il quale dimostra come dall’Irlanda agli Stati Uniti, passando per l’Italia, si siano organizzate autentiche lobby per amplificare con statistiche gonfiate il fenomeno, per lucrare attaccando le diocesi con cause miliardarie, per promuovere speculazioni intese a screditare i Pontefici, i sacerdoti e più in generale la Chiesa. 

martedì 1 aprile 2014

EDUCARE ALLA DIVERSITA' O AL PENSIERO UNICO? di Giancarlo Ricci


“Due uomini che fanno l’amore”. Note critiche a  proposito dei Fascicoli "Educare alla diversità a scuola" ideati dall' UNAR e oggetto di un'interpellanza parlamentare (e non solo)


A proposito dei fascicoli EDUCARE ALLA DIVERSITA’ A SCUOLA, ideati e finanziati dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) in collaborazione con la PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI e il DIPARTIMENTO PER LA PARI  OPPORTUNITA’, proponiamo alcune considerazioni critiche. Per i promotori questi fascicoli avrebbero dovuto servire a prevenire e a contrastare, nella scuola italiana, l’omofobia e la discriminazione. A tale scopo, in realtà, basterebbe il senso civico, alcuni articoli della Costituzione Italiana, l’educazione civica o, nella fattispecie, il codice civile e penale. Si fa finta di non sapere che il nostro paese, rispetto ad altri europei, è in cima alla classifica per la lievità del fenomeno dell’omofobia. 

Perché tanta urgenza? 
Perché tanta premura nell’evocare l’urgenza di contrastare situazioni che vengono definite di razzismo, di violenza, di odio, di disprezzo, di discriminazione? Se leggete questi Fascicoli parola per parola vi accorgete del trucco. Esso consiste nell’affermare una visione gender della sessualità, delle relazioni, della famiglia, dell’educazione facendola passare come necessaria e improrogabile. Paventando un’urgenza istituzionale e sociale tali Fascicoli, più che informare, cercano di indottrinare e di diffondere un pensiero unico. 

Sulla presunta scientificità
In questi Fascicoli sono sostenute affermazioni perentorie in
quanto convalidate da una presunta scientificità. Le affermazioni riguardano valutazioni sia sociologiche, comportamentali, giuridiche sia affermazioni riguardanti l’origine dell’omosessualità, alla psicologia della sessualità, ai parametri psichiatrici del DSM. In realtà i riferimenti che vengono spacciati come oggettivamente scientifici rinviano a testi e ad autori americani esclusivamente di area cognitivo comportamentale. Quest’area rappresenta, nella vastità di correnti e indirizzi della psicologia del nostro tempo, solo una parte e nemmeno così estesa. Del resto l’orientamento cognitivo comportamentale viene apertamente dichiarato dall’Istituto Beck. 

L’Istituto Beck
La fondatrice e direttrice di questo Istituto, la dottoressa Antonella Montano, è autrice (militante) di alcuni testi dedicati all’omosessualità femminile. Tra le varie pubblicazioni a cura dell’Istituto Beck troviamo un titolo come La terapia affermativa dell’omosessualità (2013). In altri termini: nell’area cognitiva comportamentale, l’Istituto Beck pare apertamente schierato a favore e a sostegno delle posizioni LGBT. Tra l’altro colpisce la curiosa coincidenza rispetto a un libro dal titolo Identità sessuale a scuola. Educare alla diversità e prevenire l’omofobia, uscito nel 2009 e curato da due autori che si occupano di problematiche LGBT e che forniscono, per alcuni aspetti, la traccia che viene ripresa nei suddetti Fascicoli. 

La negazione degli altri orientamenti psicologici
Un dato ulteriormente significativo è che l’ampia area teorica e clinica della psicologia, com’è risaputo composta da varie scuole e orientamenti, in questi Fascicoli non viene nemmeno considerata. Per i compilatori è come se non esistesse. Per esempio diverse acquisizioni della psicoanalisi (di varie scuole e di vari paesi europei come per esempio quelli dell’America latina) rimangono rigorosamente assenti, silenziate, nonostante la letteratura non solo psicoanalitica su tali tematiche sia ormai vastissima e consolidata. Di fatto alcuni termini che hanno una rilevanza teorica e clinica nella tradizione psicologica (e psichiatrica) europea risultano espunti. Portiamo alcuni esempi: vita psichica, amore, inconscio, relazione, innamoramento, sessuazione, sintomo psichico, funzione paterna, struttura edipica

L’uso della sessuologia
In questi Fascicoli altri termini come affetto, identificazione, identità, fobia, odio vengono banalizzati e utilizzati in modo psicologistico. Non solo: l’apparente asetticità e neutralità (quasi puritana) delle argomentazioni sembrano espungere termini come piacere, godimento, soddisfazione, desiderio. Della complessità psicologica implicata da questi termini si impone soltanto una parola che sembra importata dal lessico zoologico: attrazione. Come se il campo dell’umano e della sessualità potesse essere definibile in base ai “bisogni” dell’istinto. Del resto è tipico di una certa impostazione d’oltreoceano utilizzare, in materia di sessualità, una modalità sessuologica che privilegia la prestazione, la funzionalità, l’orientamento sessuale indifferenziato a discapito del contenuto dell’atto sessuale nelle sue valenze amorose, relazionali, affettive, progettuali. 
Risposte slogan
Nei Fascicoli vengono proposte questioni spesso formulate in modo già tendenzioso, univoco, perentorio, dogmatico. Chiudono le domande invece che consentire una riflessione, un’apertura. La dimensione psicologistica, utilizzata per dare risposte preconfezionate, rimane senza pensiero a favore di formule che si ripetono nei Fascicoli come slogan. Ciò che prevale non sono eventuali strumenti critici per approfondire tali tematiche ma un’impostazione didattica e propagandistica. Indicativi, in tal senso, i facsimili simili proposti alle scuole al fine di creare manifesti e lettere per sensibilizzare studenti e genitori.
Ritroviamo in tutto ciò la lunga e pesante mano delle 29 associazioni LGBT (ci sono proprio tutte) che hanno collaborato (con ampi compensi) al Documento UNAR. Inoltre i Fascicoli risultano spudoratamente autopromozionali, come viene suggerito (p. 18): “La scuola potrebbe avvalersi dell’esperienza di alcune organizzazioni esterne, invitando a parlare in un’apposita riunione d’istituto rappresentanti volontari di varie associazioni (gruppi contro la violenza o il bullismo, gruppi in difesa dei minori, associazioni gay e lesbiche)”. 

Sul concetto di omofobia e di discriminazione
Entriamo in merito. La definizione proposta di omofobia e di discriminazione è come un oceano: si va dall’ostilità più o meno esplicita e più o meno consapevole a forme di disprezzo o di disgusto. E ancora: pregiudizio, emarginazione, molestie, attacchi, isolamento, pettegolezzi, “furti di cose personali” e via dicendo. Poi si giunge all’odio dichiarato per arrivare alla violenza (verbale e fisica). Ma c’è anche il razzismo, come se gay e lesbiche appartenessero ad un altra razza (sono loro a ipotizzarlo). Inoltre c’è anche il bullismo, quello omofobico. Insomma c’è di tutto un po’. C’è l’intero codice penale. In definitiva, in assenza di una precisa definizione giuridica di omofobia, ogni pensiero critico, non omologato o non allineato con la visione gender potrebbe risultare discriminatorio.  
In realtà ciò che ci sembra un vero atto discriminatorio è quello per cui una realtà (assai complessa e variegata) possa essere definita in modo univoco e unilaterale, tanto più con la pretesa di essere considerata come l’unica. Ogni virgola che si discostasse da questa versione ricade nell’omofobia e nella discriminazione. In definitiva questi Fascicoli, rivolti all’intera scolaresca della nazione, propongono un pensiero unico al di fuori del quale regna l’omofobia.
Chi sono i più omofobi?
E’ davvero curioso che i compilatori di questi Fascicoli si
siano adoperati anche a fornire, grazie alla grande richiesta da parte di studenti, genitori e insegnanti, dati scientifici relativi ai motivi intrinseci che determinano l’omofobia. “Come appare evidente, maggiore risulta il grado di ignoranza, di conservatorismo politico e sociale, di cieca credenza nei precetti religiosi, maggiore sarà la probabilità che un individuo abbia un’attitudine omofoba “ (p. 11). Forse il concetto è troppo complesso è occorre ribadirlo: “Per essere più chiari, vi è un modello omofobo di tipo religioso che considera l’omosessualità un peccato; un modello omofobo di tipo scientifico che la considera una malattia; un modello omofobo di tipo sociale che la considera una minaccia; e infine un modello omofobo di tipo politico che cavalca la paura della diversità” (p.11). 

Inventar l’eterosessismo per nascondere l’omosessismo
Eccoci al nodo centrale, al punto focale, alla madre di tutte le
discriminazioni. Leggiamo con attenzione: Nella società occidentale si dà per scontato che l’orientamento sessuale di un adolescente sano sia eterosessuale. La famiglia, la scuola, le principali istituzioni della società (...) si aspettano, incoraggiano e facilitano in mille modi, diretti e indiretti, un orientamento eterosessuale” (p. 3). Dunque la nostra società è strutturalmente omofobica perché pone al centro del suo funzionamento l’eterosessualità! Ecco la madre di tutte le violenze. Infatti “a un bambino è chiaro da subito che, se è maschio, dovrà innamorarsi di una principessa e, se è femmina, di un principe. Non gli sono permesse fiabe con identificazioni diverse. (...) Non ha intorno a sé persone che possano essergli di supporto, né vede nella società modelli positivi” (p. 3).
In definitiva, anche se una bambina e un bambino si accorgono di essere anatomicamente differenti, occorre che entrambi prendano atto della violenza cui sono sottoposti e che dunque si ribellino a simile imposizione. Ecco dunque l’educazione gender  con cui i soggetti devono essere costruiti: “Se una bambina ama giocare a calcio con i compagni e si sporca i vestiti, le viene detto di non fare il maschiaccio. Una volta cresciuta, deve imparare a cucinare, deve volere un marito e dei figli. Così un uomo deve amare guardare la partita o la Formula 1 in Tv. Ogni volta che un individuo non si conforma a queste aspettative, la società lo considera strano, lo fa sentire sbagliato rispetto a un modello stereotipato di riferimento” (p. 8). 

L’insegnante “educatore dell’omofobia” ?
Avete letto bene. A pagina 3 dei Fascicoli si legge proprio così:  “Vengono forniti agli insegnanti gli strumenti per approfondire le varie tematiche legate all’omosessualità, così che essi stessi possano diventare educatori dell’omofobia” (p. 3). “Educatore dell’omofobia” significa educare gli alunni all’omofobia. Davvero un bel lapsus, sarà stata la fretta o un errore di traduzione dall’inglese.
A parte questo simpatico strafalcione gli estensori dei Fascicoli, che evidentemente conoscono bene la mentalità degli insegnanti italiani, procedono in punta di piedi: “Affrontare l’omofobia e il bullismo omofobico può essere difficile per qualche insegnante (...). Ciò avviene perché le questioni riguardanti l’omosessualità, soprattutto in Italia, sono permeate di condizionamenti culturali e sociali dell’ambiente esterno e non vengono insegnate tra i banchi di scuola. Per queste ragioni, è importante fornire agli insegnanti uno strumento che consenta loro di acquisire le conoscenze necessarie (...)” (p. 3). Finalmente qualcuno fornisce strumenti oggettivamente adeguati. 
E infatti le raccomandazioni agli insegnanti abbondano: “Non usare analogie che facciano riferimento a una prospettiva eteronormativa (cioè che assuma che l’eterosessualità sia l’orientamento “normale”, invece che uno dei possibili orientamenti sessuali)” (p. 6). Infine, un suggerimento per mantenersi “politicamente corretti”: “L’insegnante dovrebbe cercare di scegliere libri (o suggerire film o serie televisive) in cui ci sono uomini e donne, così come famiglie, diversi dallo stereotipo da pubblicità. Può eventualmente cercare degli ospiti esterni per parlare in classe, ad esempio un soldato donna” (p. 6).
Poi c’è tutta la didattica in cui bisogna fare esemplificazioni. Ma non è facile. Troviamo qualche esempio: “Nell’elaborazione di compiti, inventare situazioni che facciano riferimento a una varietà di strutture familiari ed espressioni di genere. Per esempio: “Rosa e i suoi papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar. Se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?” (p. 6). Dimenticavamo: a proposito di spese, i Fascicoli sono costati 24.200 euro e l’Unar solo nel 2013 ha corrisposto alle varie associazioni LGBT che hanno collaborato contributi pari a 250.000 euro. 
Il trionfo del costruttivismo
Finalmente un po’ di chiarezza. Sappiamo che il riferimento sociologico che informano i Fascicoli è il costruttivismo: “Dal punto di vista scientifico, definiamo l’identità sessuale come un costrutto multidimensionale (Coleman, Isay, Klein, Seperkoff, Wolf, Laumann, Gagnon, Michael, Morris) cioè un concetto formato da diverse componenti che interagiscono tra loro in modi complessi” (p. 7). In altri termini: l’identità sessuale viene definita unicamente e soltanto secondo la visione proposta dal costruttivismo che è la corrente sociologica alla base della gender studies. L’identità sessuale, e in generale la sessualità umana, viene cioè concepita essenzialmente come l’effetto di una costruzione culturale e sociale. La natura è esclusa, anzi superata. Ciò che è naturale è ampiamente disponibile, modificabile, superabile in vista di una mutazione antropologica in cui il genere potrà essere liberamente scelto.
Non sorprende allora che gli esempi, i riferimenti sociali, scolastici, comportamentali, culturali che vengono drammaticamente evocati in questi Fascicoli si riferiscano palesemente al tessuto e alla realtà americane. Appare evidente la distanza astronomica con la nostra realtà scolastica, familiare, sociale, istituzionale. La quale storicamente appartiene a un’area geografica abbastanza differente da quella del nord Europa o da quella anglosassone che fino a pochi decenni fa riservava agli omosessuali pene severissime e persecuzioni. 

Essere o non essere
“In questi anni i bambini e le bambine si trasformano e diventano ragazzi e ragazze. Coloro che durante questo percorso di sviluppo si accorgono (o cominciano a sospettare) di essere gay, lesbiche o bisessuali seguono dei percorsi di crescita che sono allo stesso tempo simili e differenti rispetto ai coetanei eterosessuali” (p. 3). Quello che sorprende in questi tre Fascicoli dedicati alle scuole elementari, medie e superiori, è la disinvoltura con cui ricorre il verbo essere: essere gay, essere lesbiche. Stiamo parlando di bambini e bambine dai 6 ai 18 anni. C’è una vasta letteratura psicologica che insiste nell’affermare che fino all’adolescenza è inappropriato parlare di omosessualità. Perché dunque tanta insistenza sul verbo essere che istituisce ontologicamente un soggetto e che lo definisce in base all’orientamento sessuale? Perché precipitarsi a definire un soggetto quando ancora è strutturalmente indefinibile? 
In un certo senso comprendiamo la pressione ideologica che insiste nell’affermare che “l’omosessualità non è una scelta” e costituisce “una normale espressione della sessualità umana” (p. 9). Ci chiediamo: ma da che fonte “scientifica” o “giuridica” deriva quest’ultima bizzarra idea? In questi Fascicoli sorprende anche, su un altro versante, l’assenza totale, in merito alla complessa genesi dell’omosessualità, dell’evocazione di situazioni di abusi o maltrattamenti a livello di infanzia, pubertà o adolescenza. Silenzio. “Omosessuali si nasce” sembra sussurrare questo assordante silenzio. 

Non devi e non puoi “guarire” 
Se qualcuno prova un forte disagio per la propria omosessualità, cosa fare? Se qualcuno addirittura osa affermare di voler “uscire” dall’omosessualità, cosa dobbiamo suggerirgli? Prima di pensare qualcosa leggiamo cosa scrivono i Fascicoli: “La comunità scientifica si è espressa più volte contro le cosiddette “terapie riparative” che promettono cioè di convertire l’orientamento sessuale da omo a etero. Ad aggi non ci sono dati scientifici circa l’efficacia e la sicurezza di tali terapie. Innanzi tutto partono dalla premessa sbagliata secondo cui l’orientamento omosessuale debba essere cambiato. Secondo la comunità scientifica, essere omosessuali è infatti una normale espressione della sessualità umana, di conseguenza non c’è motivo di voler cambiare tale caratteristica” (p. 9). L’indicazione è precisa: “non c’è motivo di voler cambiare tale caratteristica”, “la premessa è sbagliata”. In altri termini colui che avverte tale atteggiamento “egodistonico” (così si dice nei manuali) verso la propria omosessualità, sbaglia. Non deve e non può avere una qualche aspettativa rivolta al cambiamento. 
Che la comunità scientifica abbia sanzionato qualcosa riguardo alle cosiddette “terapie riparative” è falso. C’è stato e c’è un dibattito, o meglio una polemica tra le associazioni LGBT e alcune associazioni di psicologi (Narth) che si occupano di clinica dell’omosessualità. Evidentemente le associazioni LGBT e i loro simpatizzanti escludono qualsiasi “cura” dell’omosessualità. Affermano, giocando sulle parole, che se si cura l’omosessualità significa che essa è una malattia. Ma non è così, dato che il “disturbo dell’orientamento sessuale” rimane menzionato nel DSM e nell’ICD 10. Alcuni Ordini Professionali degli Psicologi di alcune regioni italiane hanno attuato delle delibere sulle  “terapie riparative”. Affermano in modo demagogico che tali teorie sono vietate. Ma è un falso. Provate a leggere tali delibere, c’è intimidazione ma non divieto. 

L’origine dell’omosessualità
Basta con le visioni ideologiche. Occupiamoci
scientificamente del problema: “A oggi non è noto cosa determini l’orientamento sessuale, sebbene negli ultimi decenni si sia andati alla ricerca del perché si ha un determinato orientamento, di quali spiegazioni psicologiche, sociali, genetiche, ormonali o culturali possano esservi alla base“ (p. 9). Queste righe che avete appena letto, così intrise di ingenuo probabilismo, negano le centinaia di ricerche e di studi che si addentrano a illustrare le cause psicologiche e psichiche dell’omosessualità maschile e femminile. Parecchi di questi studi concordano nel ritrovare le origini dell’orientamento omosessuale nella posizione problematica della madre e del padre rispetto al figlio o alla figlia. Siccome la mentalità pragmatista americana si fonda sulle probabilità, sulle certezze dimostrate, sulle componenti statistiche, tali teorie vengono spesso (a comodo) considerate indimostrabili. Quindi, mancando la prova certa, mancherebbe anche la scientificità. E così si può affermare che “non è noto cosa determini l’orientamento sessuale”. Verrebbe da pensare che si tratta qui di una sorta di relativismo alla rovescia che è del tutto funzionale al pensiero gender. Ricordiamolo ancora: “l’omosessualità non è una scelta” ed è “una normale espressione della sessualità umana” (p. 9).
Se proprio volessimo affermare qualcosa sull’origine dell’omosessualità è sufficiente, secondo questi Fascicoli, il concetto di omofobia interiorizzata. Che in pratica evidenzia una posizione vittimistica in cui è sempre l’altro responsabile di qualcosa. La credenza dell’omofobia interiorizzata non è distante dalla posizione “dell’anima bella”.  “Per omofobia interiorizzata si intende l’ansia, il disprezzo, e l’avversione che gli omosessuali provano nei confronti della propria omosessualità e nei confronti di quella di altre persone. Essa deriva dall’accettazione passiva - consapevole e inconsapevole - di tutti i sentimenti negativi, gli atteggiamenti, i comportamenti, le opinioni, i pregiudizi tipici della cultura omofoba. (...) Tali dimensioni sottolineano quanto sia inevitabile per un gay identificarsi come parte di una minoranza stigmatizzata e accettare, in modo incondizionato, l’eterosessismo e le convinzioni omonegative della società” (p. 13). Siamo di fronte a un’opera immane: non solo sconfiggere l’omofobia della società ma anche quella degli omosessuali. Ma quando la società non sarà più omofoba scomparirà anche l’omosessualità ?  

Il gioco dell’oca
Ci sono aspetti anche divertenti in questi Fascicoli. Nella sezione FAQ, se proprio ancora avete dei dubbi, vi potete divertire. E trovate così questi giochetti basati su domanda e risposta: “Perché alcuni individui sono attratti da persone dello stesso sesso? Per la stessa ragione per cui altri individui sono attratti da persone del sesso opposto. (...) Quindi potremmo ribaltare la domanda chiedendoci: perché alcuni individui sono attratti da persone del sesso opposto?” (p. 23). Non male. Soprattutto in quanto a scientificità.
E ancora: “C’è una cura per l’omosessualità? Chiariamo subito che non ci può essere una cura per l’omosessualità, perché l’omosessualità non è una malattia. Chiunque dica il contrario diffonde un pregiudizio privo di valore scientifico. (...) Quindi potremmo chiederci: “perché dovrebbe esserci una cura?” (p. 23). Già, perché dovrebbe esserci una cura? Stavamo per dimenticarlo: non ci si può curare, non ci si può prendere cura di una questione che non è una malattia.  
Sull’antico dilemma tra natura e cultura: “I rapporti omosessuali sono naturali? Sì, il sesso tra le persone dello stesso sesso è presente in tutta la storia dell’umanità.(...) Quindi potremmo ribaltare la domanda chiederci: “I rapporti eterosessuali sono normali?” (p. 24). Ci sono altre domande. Vi assicuriamo che c’è da divertirsi. 

Pornografia e libertà 
Dicevamo che in merito all’origine dell’omosessualità non troviamo cenno, nei Fascicoli, alla questione degli abusi o dei maltrattamenti. L’altro assordante silenzio riguarda la questione della pornografia, divenuta ormai tra i giovani e giovanissimi di tutti i paesi occidentali, una delle “fonti” principali (devastanti) di “educazione sessuale”. La pornografia ha raggiunto ormai il suo apice con i mezzi informatici e si presenta come l’altra faccia, erotizzata e perversa, della sessuologia. Non siamo forse in un regime di libertà? 
A tal proposito colpisce una raccomandazione rivolta agli insegnanti: “Uno studente può dire la frase: Due uomini che fanno l’amore sono disgustosi. A quel punto l’insegnante può far notare che questa è un’opinione, è un giudizio personale, che deriva dal fatto che siamo poco abituati, dal cinema e dalla televisione, a vedere due uomini che si baciano o che fanno l’amore, è un fenomeno che per noi non è stato reso normale” (p. 24). Leggiamo bene l’ultima frase: in concreto si dice che purtroppo non siamo abituati “a vedere due uomini che fanno l’amore”. In pratica non siamo liberi in questa società omofoba di vedere due uomini che fanno l’amore. Per fortuna c’è internet e la rete. Lì posso trovare di tutto. Anche due uomini che fanno l’amore.