martedì 30 giugno 2015

MATRIMONI GAY: IL BUSINESS DEI DIRITTI. DI Giuliano Guzzo

Il puntuale e documentato intervento di Giuliano Guzzo evidenzia il motivo dell'urgenza  degli USA nell'approvare i matrimoni gay. 
Nel marzo 2013 il Time era uscito con una doppia copertina dal titolo: "Matrimoni gay: abbiamo già vinto". Obama, apertamente sostenuto e finanziato per il secondo mandato dalle lobby LGBT, oggi salda il conto. Obiettivo raggiunto. Viene fatto passare per una grande conquista delle libertà  civili. 
Il neoliberalismo procede a colpi di libertà. Per il nostro benessere. 
 In Italia la notizia arriva ammantata da un (tronfio) trionfo che celebra, sotto mentite spolie, il mercato demagogico dei diritti.

Vai all'articolo completo (Nozze gay, il grande business, 28.6.15):  http://giulianoguzzo.com/2013/06/28/nozze-gay-il-grande-business/



Altro che «love is love», come dice Barack Obama. La decisione della Suprema Corte americana, che come sappiamo ha bocciato il clintoniano Doma – acronimo che sta per Defense of Marriage Act [1] –, a pensarci bene fa venire in mente uno slogan ben diverso: «Money is money». 

Senza voler minimamente discutere i sentimenti delle persone omosessuali – alle quali va, anzi, assicurato il massimo rispetto -, sarebbe infatti ingenuo sottrarsi aprioristicamente al dubbio che, se certamente non a determinarla, quanto meno a concorrere alla storica (e risicatissima: 5 voti contro 4) svolta dei giudici possa esservi stata anche una dimensione, per così dire, più concreta e meno ideale.
Del resto, non diciamo nulla di nuovo dato che da tempo l’omosessualità è ritenuta un «middle-class phenomenon» [2] in grado di mobilitare ingenti risorse anche economiche [3], e che proprio alla Suprema Corte, quest’anno, è giunto un documento a suffragio dell’incostituzionalità del citato Doma sottoscritto – combinazione – da ben 278 grandi aziende fra le quali, per brevità, ricordiamo soltanto le più note: Amazon, Apple, Facebook, Twitter, Moody’s Morgan Stanley, Goldman Sachs e Starbucks [4]. Ora, che si tratti di 278 realtà – incluse potenti banche – mosse tutte e solo da interessi filantropici? Non si direbbe dato che è stato proprio Lloyd Blankfein, amministratore delegato della Goldman Sachs, a chiarire che «è una questione di diritti civili, ma anche di business» [5].
L'American Airlines ha festeggiato così i nuovi diritti

A conferma della fondatezza di questa dichiarazione si può ricordare l’elenco dei potenti sostenitori – fra imprenditori, manager e banchieri – delle nozze gay coi rispettivi quantitativi versati o raccolti in questi anni per la causa: Cliff Asness (1,5 milioni di dollari), Jeff Bezos (2,5 milioni di dollari), Bill e Melinda Gates (500 mila dollari), Daniel Loeb (1,5 milioni di dollari), Jon Stryker (1,85 milioni di dollari), solo per citarne alcuni [6]. La domanda a questo punto potrebbe essere: come mai tanti pezzi da novanta si prodigano per le nozze gay? Cosa c’è davvero sotto? Di che «business» si tratta? E, soprattutto, di quali dimensioni?
Ora, in ovvia mancanza di dati che possano fornirci un quadro più preciso,  per ora non possiamo che ragionare in termini di stime. Ebbene, se circa dieci anni fa il CBO – acronimo che sta per Congressional Budget Office – al pari di altre valutazioni [7], stimava l’indotto delle nozze gay, una volta che queste saranno effettive in tutti e 50 Stati Usa, di un miliardo di dollari l’anno [8], secondo un più recente contributo di Forbes del 2009, l’indotto complessivo sarebbe decisamente più sostanzioso: circa 9,5 miliardi di dollari [9]. Una somma che, benché alta, non pare esagerata – solo a New York, dopo un anno, le nozze gay hanno generato guadagni per 259 milioni di dollari [10] – e che spiega fin troppo bene l’interesse di Moody’s, Morgan Stanley e Goldman Sachs per l’abolizione del Doma.
Ma al di là del dato economico, qui richiamato solo in sintesi rispetto alla sua ben più articolata realtà, non possiamo che concludere riflettendo su un aspetto curioso, vale a dire la convergenza di interessi, quando si parla dei diritti delle “nuove famiglie”, fra i colossi della finanza e dell’industria e le forze politiche socialiste, fieramente di sinistra o cosiddette antisistema, due mondi divisi su molto eccetto che sull’anticattolicesimo, l’«ultimo pregiudizio accettabile» [11]. Forse che la lotta contro la famiglia cosiddetta tradizionale e, di conseguenza, contro il diritto naturale, la ragione e la Chiesa sia il vero obbiettivo di certe battaglie? E’ un sospetto forse indimostrabile certo, ma che viene. E proprio non se ne va.

Note: 
[1] Cfr. Defense of Marriage Act, «Public Law» 104-199, 1996; 
[2] Cfr. Niada M. A Londra il business gay vale 100 miliardi di euro, «Il Sole 24 Ore», n. 160, 13/6/2006, p. 8; 
[3] Cfr. Zald M. – McCarthy J. (1977) Resource Mobilization and Social Movements: A Partial Theory. «American Journal of Sociology»; 82(6): 1212-1241; 
[4] Cfr. AA.VV. Brief of 278 employers and organizations representing employers as amici curiae in support of respondent edith schlain windsor (merits brief). 27/2/2013; «The Supreme Court of the United States» – No. 12-307:1-95; 
[5] Blankfein L. cit. in Ford Z. Goldman Sachs CEO: Marriage Equality Is Good For Business. «thinkprogress.org», 11/3/2013; 
[6] Cfr. Biles A. The Top 23 Gay Marriage Supporters in Business Today. «bezinga.com», 26/3/2013; 
[7] Cfr. Guaracino J. Gay and Lesbian Tourism. The Essential Guide for Marketing. Elsevier Ltd., Jordan Hill, Oxford 2007, p. 43; 
[8] Cfr. Holtz-Eakin D. (2004) The Potential Budgetary Impact of Recognizing Same-Sex Marriages. «The Congressional Budget Office»; 1-10: 1; 
[9] Cfr. Marcus M.The $9.5 Billion Gay Marriage Windfall. «Forbes.com», 16/6/2009; 
[10] Cfr. Goldman H. Gay Marriage Produced $259 Million for New York City Economy. «bloomberg.com», 24/7/2012; 
[11] Jenkins P. The New Anti-Catholicism. The Last Acceptable Prejudice, Oxford University Press, New York 2003.

venerdì 19 giugno 2015

IL MEDIUM E' IL MASSAGGIO. I PUNTI CIECHI DELL'OCCIDENTE. Intervista a MARC FUREDIS


Pubblichiamo alcuni brani dell’articolo di Marc Furedis, 
docente di Sociologia all’ University of Tokyo. 
Direttore del Centro Studi di Demo-Etno-Antropologia 
presso la  Yokohama National University, insegna in alcune università americane. Il lungo saggio - intitolato in base agli argomenti - è apparso (5 maggio 2015) sul sito: http://ssr1.uchicago.edu. (Traduzione di Ellis Monk).

L'EUROPA E L'ITALIA
(...) Dopo oltre due decenni di studi sociali le ricerche del nostro Istituto a Yokohama si sono dedicate a tracciare possibili scenari relativi allo sviluppo socio culturale dell’Europa parallelamente al tema culturale, politico ed economico della sedicente unione europea. I risultati che si sono delineati sono impressionanti soprattutto nell’area del sud Europa, esposta alle complesse e diverse problematiche del continente africano. Sempre più diversi paesi europei saranno costretti a confrontarsi in termini drammatici con il problema della cosiddetta immigrazione, di popolazioni e ceppi etnici in fuga, di minoranze sociali cacciate dal loro territorio per motivi di sopravvivenza (...).
Dal punto di vista delle scienze etno-antropologiche che negli ultimi anni si avvalgono di materiali e tecniche statistiche alquanto sofisticate nonché di modelli proiettivi aggiornati pressoché quotidianamente, ci accorgiamo per esempio che, a differenza di interventi istituzionali governativi di altri paesi come Francia, Spagna, Germania e alcuni paesi dell’est Europa, l’Italia rappresenti un caso a parte.  (…) L’uniformità (in Italia) di posizioni ideologiche che raccolgono consenso solo per una sorta di adesione anonima non trova paragoni nella recente storia socio politica italiana. Un esempio eclatante è la questione dei diritti civili, di come viene proposta e gestita. E‘ sorprendente che, a quanto ci risulta, non vi siano state o quasi in Italia posizioni o interventi di giuristi che abbiano chiaramente espresso un dato di fatto universalmente accertato: e cioè che nel capitalismo avanzato, nel neoliberalismo per esempio, ogni richiesta di nuovi diritti, da parte di associazioni, gruppo sociali, lobby, gruppi di pressione, in realtà erode quella che i giuristi riconoscono come la libertà individuale, un principio intoccabile, la base delle moderne democrazie.
Insomma nuovi diritti e libertà individuali sono due entità inversamente proporzionali. Ciò avviene da quando esiste la polis e la civiltà. I diritti espressi da una parte dei cittadini può ledere la libertà di altri cittadini; Zizek non è certo stato il primo a rilevarlo. Questo difficile equilibro tra diritto e libertà sempre più nella società italiana e nella sua configurazione culturale e sociale dell’ultimo decennio, risulta a tal punto precario da indicare una tendenza antropologica in mutazione. Le prospettive ipotizzate da Sloterdijk o il riesumare le utopie fallite come fa Abensour, non rendono ragione dell’attuale complessità. La posizione ideologica rappresenta l’ultimo tentativo di credere di governare per il bene di tutti. Ma, come sappiamo, è un’idea che rasenta l’impostura. In Italia questo è abbastanza evidente (…). 

IL COSTO DEI NUOVI DIRITTI
(…) Occupandomi da tempo di mutazioni del linguaggio, avrete notato come ormai i politici e i media italiani usino termini come mainstream o endorsement. Vogliono far credere che si sono aggiornati. Parlano di governance per evitare la parola potere, una parola tabù: il segreto di tutti i segreti, la maschera di tutte le maschere, il denudamento di tutti i denudamenti. Insomma una questione di pornografia. Nel vostro paese la politica è gestita come un serial pornografico. Giocate a svelare, puntata dopo puntata, il nuovo corrotto. In modo che su un’altra scena, non visibile, un nuovo corruttore prepara la puntata successiva. Debord, con la sua società dello spettacolo, impallidirebbe di fronte a tanta sfrontatezza.
Per il pubblico vanno bene i nuovi diritti, danno l’impressione di trovarsi in un’effettiva democrazia. E i diritti dei gay ricascano perfettamente nel modello e nello schema adatto a questo momento sociale e politico. Si inscena la commedia e gli sguardi del pubblico si rivolgono unanimi al nuovo spettacolo (…). E poi chi si è visto si è visto. Se era gay oggi è etero, se era etero oggi è gay. Confondere le identità, i ruoli, le maschere fa parte dello spettacolo, del consumo del bla bla… Intanto il calo demografico prosegue inesorabile, la famiglia è sempre meno tutelata e promossa, i giovani abbandonati a un destino drammatico e senza futuro. Così mentre i ceti illuminati e ideologicamente autoreferenziali si fanno vanto di essere progressisti sostenendo i nuovi diritti delle unioni gay, decine di migliaia di vostri neolaureati ogni anno vanno all’estero a cercare lavoro e un progetto di vita vivibile. (…) Quale priorità dare ai diritti? Quanto costano i diritti? Chiedete a un cittadino quanto pensi che costi al sistema Sanitario Nazionale l’organizzazione di reparti, macchinari, tecnologie per la crioconservazione dei gameti, la scelta e la formazione del personale adeguati ad attuare la fecondazione eterologa. Il cittadino dirà che non lo sa. E non lo sa perché nessuno lo ha informato. Nessuno lo ha informato perché è un’informazione da tenere ben segreta. Molto probabilmente anche il politico non lo sa esattamente. Si deve fidare di quanto gli dicono, o meglio di quanto gli suggeriscono. E’ come un segreto di Pulcinella alla rovescia. Tutti conoscono il segreto? Niente affatto! Ciascuno dice che tutti conoscono il segreto, ma nessuno in realtà lo conosce. Così ognuno si fabbrica in proprio il suo segreto dicendo che tutti lo sanno. In altri termini: stiamo parlando della logica della corruzione. L’Italia sta facendo scuola su questo tema. Noterete che la questione è formulata sempre all’identico modo: “possibile che non si sapesse?” Ritorna il classico ritornello della commedia erotico-sentimentale all’italiana: si fa ma non si dice. Che, ribaltandosi, rispecchia alla perfezione il modus operandi del politico nella commedia populistico-demagogica: si dice ma non si fa ovvero si promette e poi si dimentica.  Qui siamo molto oltre Machiavelli. Siamo molto oltre Hobbes. Tocqueville, con le sue bazzecole sulla democrazia e sulla tirannia della maggioranza, ce lo lasciamo abbondantemente alle spalle (…). 

CREDERE DI PENSARE
(...) Mi riferivo prima alla vicenda dei matrimoni gay o delle unioni civili. Sappiamo che nonostante vi sia una grande enfasi a favore dei matrimoni gay, in realtà in tutti i paesi d’Europa in cui è passata tale legge, le statistiche parlano di un flop: i gay non si sposano. Pretendono, chiedono ed esigono il matrimonio ma poi non lo usano. E’ come una finta. E la società ci casca, è pronta ad accogliere il vittimismo che viene rappresentato dalle associazioni GLBT per dimostrare che tutti i diritti sono sacrosanti.  C’è un traffico di diritti insaziabili. (…) In Italia davvero risulta qualcosa di incomprensibile. Se leggiamo bene questo fenomeno, “l’urgenza sociale” delle unioni civili, nel contesto europeo è evidente che storicamente il tema dell’omosessualità in varie aree culturali europee è stato affrontato differentemente. Per esempio nei paesi protestanti (luterani, calvinisti o anabattisti) la questione dell’omosessualità è stata perseguita in un certo modo, nei paesi anglicani con maggiore severità grazie al puritanesimo. Non dimentichiamo che fino a qualche decennio fa l’omosessualità in questi paesi era punita con il carcere. Ma non importa: oggi con dosi massicce di politicamente corretto si può correggere anche la storia. L’importante è che la gente creda, ci creda, che sia convinta che le idee di ciascuno possano essere valide al pari di chiunque altro. Il neoliberalismo insegna: lasciamo che la gente creda di pensare, al resto ci pensiamo noi. In altri termini: voi siete liberi di pensare, noi siamo liberi di gestire al meglio i vostri pensieri. Creazione, controllo, gestione? Non vi preoccupate, il servizio è all inclusive! Il mio amico Pierre Bourdieu aveva proposto a un convegno internazionale di studi sulle tendenze del capitalismo finanziario il titolo di una sessione: “Totalitarismo e diritti all inclusive”. Per poco non lo radiavano. Poi molti di noi non hanno partecipato a quel convegno (…).  

SULL'ANTICLERICALISMO E L'EUROPA
(…) Oggi in Europa diversi fanno finta di non sapere - nonostante le profonde riflessioni proposte da Bassam Tibi e da altri - che i diversi paesi europei hanno culture radicalmente differenti. Vi sono paesi con una cultura cattolica che non hanno mai perseguito penalmente l’omosessualità, nemmeno sotto il regime mussoliniano che principalmente esaltava il mito della mascolinità latina. Per il nazismo sappiamo che le cose sono andate differentemente ma lì si trattava, a mio avviso, di un certo neo paganesimo che si innestava su un terreno fortemente protestante, su un protestantesimo agrario e rurale ancora ancorato a modelli tardoromantici. Sicuramente ci sono differenti Europe, come ha sottolineato sommessamente e inutilmente Giorgio Agamben. Pertanto ci sono in Europa diverse posizioni verso l’omosessualità che si differenziano in base a tradizioni storiche, morali, etiche, culturali, giuridiche, sociali. Bisognerebbe oltretutto parlare innanzi tutto di sessualità e poi semmai di omosessualità, ma questo ci porterebbe lontano. In linea generale i paesi mediterranei sono stati tra i più tolleranti, anche se oggi alcuni di questi, come l’Italia, appaiono come i più retrogradi e i meno disposti a riconoscere socialmente le implicazioni dell’omosessualità come i matrimoni gay (…). Molti affermano che tutto dipende dal dato storico che in Italia c’è il Vaticano e che questo pare un ostacolo. Questo è innegabile, è un dato storico, ma non solo per l’Italia. Che il Vaticano sia un ostacolo risuona come un’affermazione ideologica, laicista, improntata a una tradizione anticlericale che ha un’antica storia e che oltretutto non corrisponde a una posizione dominante. Costoro confondono i termini: riportano il fenomeno religioso, comune a qualsiasi civiltà, a una questione istituzionale come la chiesa, cioè a una questione intesa in termini di potere, di organizzazione o di legame sociale. Costoro affermano che dove c’è organizzazione c’è potere. In effetti parlano di un certo modo di organizzazione che si è affermato nel ‘900 come organizzazione politica e in un contesto sociale di forte tensione che trovava un riferimento principale nel marxismo. La struttura della Chiesa è tutt’altra cosa, proviene semmai - come ha mostrato bene il giurista Pierre Legendre per esempio in L’amour du censeur del 1974 e anche in altri suoi testi come  Lo sfregio o come l’Occidente invisibile - da una vocazione imperiale che la romanità ha inventato, elaborato e inseguito nel corso di secoli. La romanità ha inventato il diritto, ha portato il diritto in tutta Europa. In questo senso il cristianesimo e il cattolicesimo sono stati portatori di civiltà. Si è trattato in entrambi i casi, in realtà con qualche differenza, di una straordinaria combinazione tra due assoluti: quello del diritto e quello della fede. I detrattori di questa vocazione, oggi l’anticlericalismo eretto a professione di fede, vorrebbero loro stessi raggiungere una vocazione imperiale. L’hanno chiamata egemonia, lotta per il monopolio, avanguardia storica, ecc. L’esito lo abbiamo visto nelle tragedie del ‘900 (…). Hanno voluto attuare una parodia dell’assoluto coniugandolo in modo totalitario. L’assoluto non può essere totalitario, anzi è agli antipodi. La lezione di Lévinas, penso a Totalità e infinito, è di straordinaria attualità (…).

"ANCORA UN MASSAGGIO" E IDEOLOGIA GENDER
(…) Vari dati sociali ed evidenze statistiche vengono poste sempre più sotto silenzio. L’Italia è negli ultimi posti europei rispetto ai fenomeni di discriminazione o di omofobia reali. L’omosessualità non è così diffusa come in altri paesi nordici. Eppure è ricorrente il riferimento alla relazione Kinsey risalente agli anni ‘50 - di cui è stata dimostrata l’infondatezza statistica - che stabiliva una percentuale di circa il 10% della popolazione con tendenze omosessuali. E’ un dato fasullo che tuttavia continua ad esser preso per vero da quelle associazioni e da quei movimenti LGBT che vengono interpellati da enti governativi per allestire campagne contro l’omofobia o corsi sulla sessualità nelle scuole. Il trucco è evidente, dato che sono proprio quelle stesse associazioni che poi vengono incaricate di aggiornare  (questo è il termine che usano) insegnanti, educatori, genitori e studenti sulla sessualità e sull’identità sessuale. Anche qui c’è qualcosa di assurdo: sono direttive che “vengono” dall’Europa, dall’Europa nordica che vive le sue tendenze perverse come tendenze liberatrici. Probabilmente non hanno mai saputo cosa ha rappresentato il ’68 in alcuni paesi mediterranei.  Oggi questi paesi nordici in nome del modernismo vogliono insegnare la tolleranza e il rispetto facendo sì che bambini e bambine si tocchino il corpo, gli organi genitali per conoscersi meglio. Oppure incitano i bambini a travestirsi con abiti dell’altro sesso. Il tutto in nome del rispetto per la differenza sessuale. Da equipe di psicologi, pedagogisti, pediatri sono stati allestiti moduli, corsi, esercizi, quiz, schede didattiche, cassette degli attrezzi (le chiamano così) per intervenire nelle scuole e insegnare la differenza sessuale secondo il gender. I documenti e le linee guida europee li trovate su Internet, sono numerosi, differenziati, pronti ad essere utilizzati da insegnanti di buona volontà.  A questo punto la realtà si rovescia nel suo contrario: la differenza sessuale in questo modo è umiliata, è praticata come perversione, è resa funzionale alla più grezza sessuologia. Ancor di più: è desimbolizzata da qualsiasi contesto antropologico e proposta lungo una profilassi immaginaria in cui tutto è permesso. Dal corpo occorre spremere tutto il godimento possibile, nulla deve essere sprecato. Il godimento diventa un obbligo. Il modello gender vuole in definitiva produrre nuovi soggetti consumatori di ipersessualità. Per far ciò deve dividere, frammentare e tenere distinti l’amore, l’erotismo e la sessualità. Questo lo ha esposto molto bene Bauman nel suo libro Gli usi postmoderni del sesso.
E di sicuro, ancor prima McLuhan che addirittura prima del ’68 ha avuto l’audacia di scrivere un libretto (a tutt’oggi sconosciuto) con un titolo provocatorio: Il medium è il massaggio. La sua tesi era che il nuovo contesto dell’informazione di massa sollecita il corpo, lo massaggia, lo divora, procura piacere e al contempo sottomissione e controllo. Era l’epoca della liberazione sessuale. Oggi potremmo dire che era l’epoca in cui incominciava la biopolitica, ovvero un sistema di dominio che partiva dalla gestione del corpo, del piacere e della sessualità. Del resto anche Foucault in quegli anni a Parigi lavorava su questi stessi temi. In sintesi: mai come oggi constatiamo che il medium è davvero il massaggio. E infatti siamo soliti dire: “ti messaggio” quell’idea, quella cosa…(ride). Non solo: il “massaggio” indica anche come il soggetto contemporaneo sia convinto che occorre e ci debba essere un Altro a occuparsi di lui. E’ una delega assoluta. Una simbiosi tra bambino e madre, il cui scambio erotico passa con i massaggi che si fanno e si ricambiano per profondersi uno nell’altro (…). Su un altro versante, filosoficamente, si potrebbe dire che l’Aufhebung hegeliana è stata sostituita dal massaggio, dalla possibilità di poter superare e oggettivare qualsiasi alterità attraverso la mediazione del massaggio, ossia del piacere procurato all’altro. Si scambiano piaceri, alla lettera. Se ci scambiamo massaggi il conflitto è allontanato, estinto. Possiamo sempre metterci d’accordo tra un massaggio e l’altro.  Di verità non parliamone neppure. La verità, ammesso che possa esistere, è già morta e sepolta (…). Altro che “villaggio globale”. Oggi si dovrebbe parlare di “massaggio globale”. Secondo diversi studiosi, per esempio Christian Laval o Andrew Ross, è questa la più alta ambizione della società neoliberale. In definitiva produrre individui molto “rilassati”, ben anestetizzati, ben disposti ad essere manipolati appunto…(…). In quanto a massaggi meglio abbondare… si diventa creativi, quindi si produce, si consuma, si scambia.  Il divino marchese De Sade nell’ultima pagina della sua Philosophie dans le boudoir oggi urlerebbe: “Francesi, ancora un massaggio e la repubblica del godimento trionferà…”. 

GENDER E MONOPOLIO SULLA SESSUALITA'
(…) Alcuni enti governativi e finanziari di area angloamericana, a partire dagli anni 90 - precisamente con la Conferenza di Pechino del ‘95 a cui il nostro istituto ha mosso diverse obiezioni e con la Conferenza del Cairo dell’anno precedente - hanno voluto imporre su scala internazionale il termine gender che ha introdotto una particolare visione politica sulla sessualità, sull’identità sessuale e sul corpo. Le implicazioni del termine gender, che si estendono su ampia scala verso il sociale e i nodi fondanti, antropologici, del funzionamento giuridico e culturale della società, non sono molto intesi dalla cultura italiana, spesso poco sensibile agli scenari antropologici.  Nemmeno altri paesi, a dire il vero, hanno colto subito di che cosa si trattava. (…) Sul ruolo e la funzione dell’ideologia gender, come viene chiamata, ci sarebbe molto da approfondire. Di sicuro, per riprendere il tema di prima, la questione gender e i matrimoni gay risultano in Italia immediatamente argomenti ideologici. Un nostro collaboratore, docente all’Università Ca Foscari, ci diceva che la questione è talmente deteriorata che ormai, grazie a varie manipolazioni dell’informazione, l’opinione pubblica italiana pensa che il matrimonio gay sia di sinistra e il matrimonio tradizionale sia di destra. La situazione italiana è molto particolare. Quel nostro collaboratore ci diceva che se qualcuno afferma un’idea un po’ diversa rispetto ai diritti dei gay viene subito etichettato come cattolico tradizionalista, omofobo, razzista. E’ curioso: come se questa definizione ponesse il soggetto fuori dall’ideologia: sei cattolico quindi non sei né di destra né di sinistra. Sei squalificato, sei fuori dai giochi. Se sei credente non puoi avere un pensiero tuo, sei già manipolato fin dall’inizio. Insomma non puoi rientrare nel nostro programma di massaggio. Sei una causa persa per il nostro profitto… Tutto ciò la dice lunga sugli effetti di cecità e di chiusura culturale, che diventa ben presto chiusura antropologica, provocati da un atteggiamento laicista dominante in un paese che vorrebbe essere invece all’avanguardia nella difesa delle minoranze. Assistiamo a un’incredibile coincidenza degli opposti: proprio perché combatti la discriminazione devi discriminare chi non la pensa come te. Favoloso. Tutti i meccanismi totalitari sono partiti da questo assunto, in nome della libertà ovviamente.

CHI SEI TU PER NON ESSERE GIUDICATO? 
(…) La vicenda di papa Franceso che dichiara “chi sono io per giudicare?” è davvero curiosa: tutti i giornali con grandi titoli affermano che il nuovo papa “apre ai gay”. Trascuriamo la censura dei media di altre cose che Francesco ha detto a proposito delle lobby gay; come si fa a manipolare una frase fino a questo punto? C’è una distorsione mentale perché è come se prima di questa frase il papato e la Chiesa esprimessero odio e intolleranza verso gli omosessuali: ma è un falso storico, non è vero. Quando mai? E’ come se qualcuno affermasse che il concetto stesso di peccato costituisse un atto discriminatorio! Tra l’altro vi sono biblioteche intere di teologia e di  filosofia intorno alla complessa questione della dialettica tra libertà e peccato.  Troviamo in questa manipolazione un problema che abbiamo studiato da sempre - tema centrale nella scuola di Francoforte - ossia la connessione, senza dubbio ardua e densa, tra l’individuo, il soggetto, e dall’altra parte la società, la comunità. Habermas o sociologi come Honneth hanno lavorato su queste problematiche da anni. Nel silenzio quasi totale di parecchi intellettuali che si definiscono “progressisti”. Adorno è stato silenziato ben presto e con lui molti altri giudicati politicamente scorretti, ossia non allineati all’ideologia 
E’ chiaro che per noi questa problematica riguarda il cuore dell’antropologia cioè lo snodo tra le scelte soggettive e quelle che si impongono a livello sociale attraverso procedure giuridiche e istituzionali. Oggi assistiamo al prevalere della procedura istituzionale su quella del soggetto singolo. O meglio il singolo, la sua singolarità come potenzialità che può crescere o spegnersi, si trova soggiogato da un sistema di informazione che falsifica e distorce la realtà. Deleuze in Milleplateaux ha articolato in modo originale la logica del senso che lega la soggettività al dominio. L’individuo di fatto è circondato da un sistema di informazione e di offerta culturale - nel senso di infotaiment molto usato dagli americani - che trasforma la realtà in un’altra cosa. Tutto ciò funziona come grande macchina di consenso, come intrattenimento (entertainment) che ha lo scopo di non  permetterti di pensare – cosa essenziale - ma ti massaggia, come accennavo prima. Ti massaggia e promette sempre nuovi ed eccitanti massaggi. E’ un circolo ipnotico che produce ipnosi di massa. La questione gender, il matrimonio gay, le adozioni sono solo alcuni termini di questa ricerca di consenso. Ma le mutazioni antropologiche non avvengono a caso. Sono sempre mutazioni in cui da qualche parte c’è un profitto, un’impronta economica e tanti tornaconti istituzionali, di potere, di potentati finanziari. Sono mutazioni che implicano importanti mutilazioni, simboliche beninteso, ma forse non solo. Ci sono intere popolazioni che vengono mutilate del concetto di nazione, di identità, e via dicendo (…).

SUI FIGLI DEI MATRIMONI GAY
(…) In ambiente anglo americano, e ormai un po’ dovunque, sono uscite numerose ricerche in merito al benessere dei figli nati e cresciuti in famiglie gay. Per un bambino avere due genitori dello stesso sesso è quasi meglio, affermano costoro. Nei loro report scrivono che “non ci sono prove che dimostrano effetti negativi su tali bambini…”. Non si accorgono nemmeno, per accennare al livello di pseudo scientificità di tali ricerche, che nelle procedure statistiche il concetto di “falso positivo” (non ci sono prove per affermare che…) non corrisponde affatto a una risposta positiva.  Ma per i media tutto va bene. Ogni affermazione è strutturata come un bluff. Ogni affermazione ha valore in base alla suggestione che produce. Come diceva Bauman, l’opinione pubblica nel vortice mediatico non ha neanche il tempo di verificare se un’affermazione è fondata che arriva subito un’altra informazione. Di bluff in bluff. E’ come una bolla speculativa insinuata nella credenza degli individui. Questo lo aveva già rivelato Benjamin nel suo celebre Capitalismo divino. Oggi ciò a cui gli individui dichiarano di pensare diventa un capitale indispensabile, fondamentale. Ha lo stesso valore che negli anni ‘60 e ‘70 aveva lo spionaggio industriale… E inversamente: far credere a un vasto pubblico una certa cosa ha effetti incredibili, effetti concreti, materiali, economici incalcolabili. Far credere che il matrimonio tra due gay è uguale a quello tra un uomo e una donna, in prospettiva, ha un valore notevole, produce un plus valore incalcolabile. Infatti con questa idea possiamo smantellare il matrimonio tradizionale, togliere man mano – in nome della libertà – tutte le tutele giuridiche e culturali che da secoli sono state poste a proteggere l’istituto della famiglia. Significa anche abolire un istituto che di fatto attua una mediazione tra lo Stato e l’individuo. Smantellare la famiglia significa che lo Stato avrà una gestione e un controllo diretto sull’individuo, dall’educazione alla vecchiaia. E’ un progetto biopolitico: occuparsi dell’essere umano dalla nascita alla morte, ossia da una procedura eugenetica a una modalità di eutanasia. Si tratta di qualcosa di simile a uno spossessamento, alla rinuncia di una sovranità. L’educazione gender nelle scuole di vario ordine e grado - ricordiamo che si tratta di “educazione” imposta dallo Stato - è l’esempio più concreto di questo progetto totalizzante. Ma è curioso che questo sia sostenuto in Italia dalla sinistra, in nome della lotta contro la discriminazione, in nome dei diritti umani, in nome di un generico progressismo che camuffa realtà economiche e finanziarie ben poco trasparenti. 

mercoledì 3 giugno 2015

I GAY NON SI SPOSANO PIU'. Di Roberto Volpi

Pubblichiamo l'articolo di Roberto Volpi dal titolo: 
"Fatta la legge, i gay in Europa non si sposano più. Lo dicono i numeri", 
uscito su IL FOGLIO il 29 maggio 2015.  


“After ten years of same-sex marriage, approximately 9 out of 10 gay and lesbian people in the Netherlands have still not chosen to enter a legal marriage”. E’ la conclusione cui approda  uno studio di William C. Duncan dell’Institute for Marriage and Public Policy condotto a dieci anni dall’introduzione in Olanda del matrimonio omosessuale (nel 2001).

Nello stesso studio si dà conto, riportando il parere di Vera Bergkamp, “head of a Dutch gay rights organization”, della mancanza di entusiasmo per il matrimonio omosessuale in quello che è “il primo paese al mondo a riconoscere il matrimonio omosessuale”. E questo è precisamente il punto. 
Il matrimonio omosessuale, dal punto di vista quantitativo, sta disattendendo le attese. Non ha sfondato in Olanda. In Spagna, dopo la punta di oltre 4 mila nel 2006, primo anno dopo l’approvazione nel 2005, la cifra dei matrimoni omosessuali si è assestata sopra i 3 mila senza più superare i 3.500 all’anno: cifre nettamente inferiori anche rispetto alla più contenuta delle previsioni.
     Stesso andamento in Inghilterra: boom nel primo anno (anche lì il 2006) dopo quello dell’approvazione, poi un calo progressivo e un assestamento che ha portato i “same-sex marriage” a pesare per poco più del due per cento sul totale dei matrimoni. Proporzione del 2 per cento attorno alla quale si assestano, e  spesso al di sotto, anche gli altri paesi europei dov’è stato introdotto.
Mancanza di entusiasmo, dunque. “Lack of nuptial enthusiasm among gay couples”, come la definisce Vera Bergkamp, che cerca di darsene una spiegazione. Anzi, tre. Minore pressione sugli omosessuali esercitata da famiglia e amici; meno coppie gay che si sposano per avere bambini delle corrispondenti coppie eterosessuali; più individualismo e meno orientamento alla famiglia tra molti omosessuali.

Onestamente, tre ragioni che per un verso sanno di acqua fresca e per l’altro di giustificazione a posteriori. In conclusione: nel tempo della drammatica caduta del matrimonio eterosessuale gli omosessuali, dopo l’orgoglio, la lotta, il riconoscimento, il giubilo per la vittoria del riconoscimento del “diritto a sposarsi” si sposano assai meno di quanto lo facciano gli eterosessuali – che praticamente non si sposano più. E questo per le più che ovvie ragioni spiegate da loro stessi: sentono meno la spinta dei figli e sono mentalmente meno orientati al matrimonio di quanto non lo siano gli eterosessuali.
Detto in termini spicci: si profila, all’interno dell’“inverno” del matrimonio, il fallimento di quello omosessuale. Se proprio quel fallimento non è già nelle cose. A dirlo sono come sempre i numeri. Tornando  all’Olanda: dopo dieci anni in flessione, dal riconoscimento dei matrimoni omosessuali appena una coppia omosessuale su cinque (che dunque già convive) risulta sposata. Niente a che vedere con l’analogo dato riguardante le coppie etero, che risultano sposate nella proporzione di otto su dieci.
I trionfi del matrimonio omosessuale, dunque, appaiono soprattutto mediatici e preventivi. Caso significativamente assai diverso da quanto avvenuto per altre “conquiste civili”. L’introduzione in Italia del divorzio e dell’interruzione volontaria di gravidanza, per fare un esempio, e giudizi di merito a parte, furono innovazioni legislative cui seguirono anni di formidabile adesione.