sabato 22 marzo 2014

MASCHIO E FEMMINA, PADRE E MADRE di Andrea Brancolini

In seguito alcuni passi dell'articolo di Andrea Brancolini "Maschio e femmina, padre e madre, genitore 1 e genitore 2: una sfida culturale" uscito sulla rivista L'UNIONE, bimestrale cattolico (Villasanta, Monza) nel febbraio 2014  
"Fino a non molti anni fa si poteva leggere nei manuali di psicologia e psichiatria riguardo all’omosessualità, che essa era da considerarsi una patologia d’identità. Oggi questa dizione è stata espunta dai manuali, ma che cosa dicono gli psicologi a riguardo? Si è effettivamente prodotto a livello scientifico, come i ben pensanti usano dire per avvalorare le loro opinioni, un risultato tale da provare in- controvertibilmente che essa, l’omosessualità, ed ogni altra forma d’identità sessuale che non sia conforme al corpo dato, sia di fatto non patologica?
Chi ha modo di leggere, sondando la sterminata bibliografia a riguardo, alcuni testi di psicologi provati, s’imbatte in una letteratura fatta di prudenza e tutela per l’individuo e, insieme, di casi clinici.
Una letteratura, cioè, che non affronta il problema a partire da una pretesa “nuova sensibilità epocale”, presuntivamente affermata come più emancipata e rispettosa della precedente, bensì che offre una miriade di racconti, di fatti carichi di sofferenza e fatica, di contraddizioni e rimorsi emersi proprio dal lettino dello psicanalista, nel dialogo con lui, nell’ascolto clinico di chi vive la fatica d’assumere la propria identità di genere, oppure l’ha assunta al di là del rapporto col proprio corpo. Una fatica che si consuma in una società che pare aver abbandonato l’individuo in questo compito irrimandabile e irrinunciabile. In un libro sicuramente pacato ed equilibrato in merito: “Il padre dov’era: le omosessualità nella psicanalisi.”, così argomenta l’autore G. Ricci: “Il tema dell’identità a livello sociale è divenuto negli ultimi anni sempre più ricorrente. Nel tempo della globalizzazione, della realtà virtuale, degli avatar e delle chat, della diffusione dei social network ed internet, la questione dell’identità risulta centrale. 
Da una parte è sempre più necessario e funzionale alla stabilità del corpo sociale, dall’altra rispecchia il tempo della precarietà, la logica improvvisa dei mutamenti, la velocità dei giochi sociali [e virtuali] degli scambi e delle relazioni. Sia nell’economia psichica dell’individuo sia nel suo porsi sociale, il primo grado dell’identità procede dall’appartenenza ad un genere. Rispetto al genere maschile, mai quanto oggi risulta in crisi il modello di virilità proposto dalla società. All’uomo ipermoderno – non più connotabile mediante l’icona di guerriero, condottiero, intellettuale o artista - rimane ben poco come modello ideale a cui rivolgersi. La società consumistica punta alla produzione e riproduzione del consumatore unisessuato dove le differenze tra i sessi si uniformano, si sovrappongono, si mescolano”.
Quindi tocca a noi riprendere consapevolmente una posizione forte, ma non dura, in quanto non c’è nulla da difendere, piuttosto dobbiamo essere in grado di riagganciare la generazione dell’umano laddove essa avviene: nella famiglia prima e nella società poi, quasi come una sua emanazione. Dobbiamo cioè tornare a presiedere quei luoghi che un tempo erano abitati da figure-icone facilmente riconoscibili da tutti e in cui tutti, o quasi, con facilità si riconoscevano e a partire dalle quali assumevano la loro identità di genere. Quei luoghi hanno bisogno di nuovi protagonisti politici capaci di testimoniare una coerenza di vita rispetto alle idee che li rappresentano e agli uomini che rappresentano.

lunedì 10 marzo 2014

DA DOVE I FINANZIAMENTI ALLE REALTA' GAY? di Paolo Ferrario


Pubblichiamo l'articolo di Paolo Ferrario
uscito su l'Avvenire del 22.2.14 con il titolo 
"Dall'Unar 250mila euro a realtà gay".
Vai all'articolo:
Hanno provocato l’indignazione di famiglie ed insegnanti e un terremoto ai vertici dell’Unar, l’Ufficio antidiscriminazioni razziali del Dipartimento per le Pari opportunità, il cui direttore Marco De Giorgi, si è visto recapitare una formale nota di demerito da parte del viceministro al Lavoro, con delega alle Pari opportunità, Maria Cecilia Guerra. 
Il provvedimento, ha specificato la stessa Guerra in un nota, è stato assunto perché De Giorgi non l’aveva informata dell’«ampia diffusione» nelle scuole degli opuscoli “Educare alla diversità di genere”, predisposti dall’Istituto “A.T. Beck”, dietro compenso di 24.200 euro saldato dall’Unar. Ad indignare i destinatari e provocare la dura reazione del governo, sono stati i contenuti dei tre libretti (per elementari, medie e superiori), orientati a indirizzare l’attività didattica secondo l’ideologia del gender e le tematiche Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali).
Questo materiale non è frutto di un’iniziativa estemporanea
ma soltanto uno dei molteplici effetti pratici della “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, messa a punto dall’Unar su preciso mandato dell’allora ministro del Lavoro, Elsa Fornero, di cui Guerra era sottosegretario. La direttiva generale per la «definizione dei contenuti» della Strategia risale al 16 aprile 2013, due settimane prima della scadenza del governo Monti.Tra le indicazioni contenute, una riguarda la «governance per l’attuazione della Strategia» che, si legge nel documento, «richiederà la necessaria collaborazione non solo delle associazioni di settore, ma anche delle istituzioni centrali, a vario titolo coinvolte, e delle parti sociali».

Nel gruppo nazionale di lavoro per la definizione della Strategia, la parte del leone l’hanno però fatta le associazioni gay e Lgbt, presenti con ben 29 rappresentanti a un tavolo dove, invece, non è stato nemmeno invitato il Forum delle famiglie, che pure rappresenta oltre tre milioni di nuclei. Eppure, nella scheda assegnazione obiettivi del Dipartimento Pari opportunità, la definizione e attuazione della Strategia è inserita alla voce “Diritti sociali, politiche sociali e famiglia”.


Insomma, la famiglia è stata inclusa tra i destinatari di un provvedimento su quale non ha potuto esprimere alcun parere preventivo. Un chiaro esempio di politica a scatola chiusa. E a senso unico. Costata, a tutti, anche a chi non ha avuto la possibilità di intervenire, 300mila euro di risorse pubbliche.