mercoledì 16 ottobre 2019

OMOGENITORIALITA': IDEOLOGIA, PRATICHE, INTERROGATIVI


Pubblichiamo a proposito del libro dello psicoanalista
SECONDO GIACOBBI
,
Omogenitorialità. ideologia, pratiche, interrogativi
(Mimesis 2019),
la recensione di RITA CORSA apparsa
sul sito SPIweb che ringraziamo.
 



Un paio d’anni fa, mi è capitato di subire un attacco frontale da parte di un esponente delle associazioni LGBT, perché sul bel dossier, Maternità surrogate, curato da Silvia Vessella per “SPIweb” (2016), avevo osato problematizzare la delicata questione della surrogacy. Sia ben chiaro, non avevo scoccato  alcuno strale contro tale pratica, ma avevo semplicemente rilevato che, in quest’età caratterizzata dall’affermazione totalitaria di τέχνη, le biotecnologie estreme consentono di non porre più dei limiti al desiderio, che diventa subito gesto, traducendo la fantasia in atto. Tale movimento provocherebbe, invero, un impoverimento del registro simbolico del pensiero, che si appiattirebbe sul reale. E aggiunsi che “l’utero della donna con la sua funzione riproduttiva è, forse, l’organo” che sta patendo la più profonda e brutale metamorfosi, anche sul piano simbolico. “Le strabilianti acquisizioni della genetica riproduttiva e della chirurgia ostetrico-ginecologica stanno rivoluzionando il concetto di maternità, di paternità e di genitorialità”. Apriti cielo!


Il libro di Giacobbi che vado qui a recensire propone delle riflessioni assolutamente non allineate sul tema dell’omogenitorialità, fatto che mi ha subito catturato, perché penso che le idee vadano scambiate in una dimensione dialettica, e non trattate come dogmi ideologici inscalfibili. Pure Paola Marion, nel suo recentissimo Il disagio del desiderio (2017), segnala che “negli ultimi decenni abbiamo assistito alla modificazione di un vincolo, quello tra sessualità e procreatività, che si era mantenuto nel corso di tutta la storia umana” (2017, p. 16). Le straordinarie conquiste delle biotecnologie hanno introdotto delle modificazioni radicali nel campo della procreazione e della genitorialità, con delle ricadute ancora non chiare sull’identità personale e sessuale, sulla sfera del desiderio e sull’idea stessa di piacere. 

Per Giacobbi, il tema dell’omogenitorialità attraversa una serie di

questioni nodali, tra cui quella, annosa, del rapporto tra natura e cultura, che per alcuni studiosi è un tema ormai obsoleto, in quanto superato dal meticciato uomo/macchina, che sta conducendo ineludibilmente alla graduale supremazia dell’ibrido transumano (Haraway, 1991). Giacobbi rimarca che la problematica tecnologica si intreccia intimante con l’etica, ma anche con la dimensione del desiderio, con i bisogni e i diritti, con le funzioni genitoriali e le sempre più incerte differenze tra i corpi (femminile e maschile). L’autore si chiede quali siano gli assetti mentali, le strutture inconsce della mente, e le modalità relazionali che caratterizzano da un lato la famiglia tradizionale e, dall’altro, le “nuove famiglie”. Egli sviluppa il suo discorso mantenendo fisso, a mo’ di stella polare, l’assunto che il bisogno da difendere è, innanzitutto, quello del bambino. Rimandando a un articolo di Silvia Vegetti Finzi  (uscito nel 2013 sulle pagine del Corriere della Sera), Giacobbi sostiene che non si può parlare di alcun diritto alla genitorialità, ma che semmai “il solo diritto è quello del bambino” (p. 8). 

Affrontando tali attualissimi argomenti, l’A. pone una serie di domande più direttamente inerenti la dimensione clinica, indicando delle ricerche che comproverebbero possibili danni nello sviluppo dei figli di genitori omosessuali, di contro ad altre che li escludono. Il materiale scientifico è esaminato con rigore ed equidistanza, e si distingue per il prevalere di una riflessione posata ed equilibrata, invece di scadere, come di frequente accade, in una sterile conflittualità ideologica. Ben sappiamo che le varie guerre di religione ancora in corso sulla composita faccenda dell’omogenitorialità insanguinano il pensiero scientifico e inibiscono una spassionata disamina specialistica. Mi viene in mente un folgorante lavoro di Bersani e Iannitelli – puntualmente citato da Giacobbi nel suo saggio – in cui i due studiosi invitano la comunità scientifica a non trattare ideologicamente il problema dell’omogenitorialità e avanzano degli interrogativi cruciali, che lasciano volutamente aperti. Tra i tanti, spicca uno che sembra far eco alle idee di Giacobbi: “È possibile misconoscere che il bambino è un ‘soggetto’ di questo diritto, prima, o invece, che un ‘oggetto’ del diritto di una coppia di allevare un figlio?” E concludono che, a fronte di una assai scarna letteratura “(...), il dato più eclatante appare quello di come l’assenza di riflessione critica, ampiamente diffusa nell’opinione pubblica, soprattutto sotto l’influenza dei media e della classe politica, sia largamente estesa in ambito psichiatrico, psicologico e neuropsichiatrico infantile, dove la competenza dei professionisti dovrebbe invece maggiormente stimolare interrogativi sulle conseguenze del fenomeno, almeno potenziali o comunque meritevoli di essere approfondite ed eventualmente escluse” (Bersani e Iannitelli, 2015, p. 2).

Il volume di Giacobbi ha certamente il merito di tentare di dipanare l’intricata faccenda da diverse prospettive, tenendosi ben lontano da posizioni che, ad esempio, vogliano riproporre una concezione patologica dell’omosessualità. Non mancano pagine di natura più propriamente giuridica, che servono a collocare la materia nell’ambito delle regole della convivenza sociale. Alcuni capitoli sono dedicati proprio a scongiurare qualsivoglia pregiudizio clinico, sociale e politico sull’omosessualità, concepita come una naturale manifestazione della sessualità individuale rivolta verso l’Altro, oggetto vivente. 

Giacobbi, tuttavia, ritiene che “lo studio delle sessualità legate al genere e all’orientamento sessuale debba continuare a rappresentare un ambito privilegiato, non solo della ricerca, ma anche e soprattutto della clinica”. Quindi, per lui “(...) si può ipotizzare che esiste una ‘sessualità femminile’ ed una ‘sessualità maschile’ e, allo stesso modo, una sessualità omosessuale femminile e una sessualità omosessuale maschile” (p. 18). Insomma, l’identità di genere è un principio che va ancora fermamente considerato. Le osservazioni di Giacobbi sono supportate da una ricca letteratura freudiana e post-freudiana e argomentate con chiarezza e linearità. Una sorta di strato roccioso, che però la nuova tecnologia medico-chirurgica sta progressivamente smantellando, rendendo la cornice metapsicologica sinora adottata sempre più insufficiente e inadeguata. Per Chasseguet-Smirgel, infatti, “la plasmabilità corporea” promossa dalla biotecnologia sta producendo una “rivolta contro l’ordine biologico”, che sconquassa anche “l’ordine del pensiero psicoanalitico”, in passato saldamente connesso all’epifania somatica (2003, pp. 12-16). 

Un esempio illuminante della drammatica aporia tra le
Picasso, Il Minotauro e le metamorfosi
teorizzazioni sull’identità di genere e le turbolente trasformazioni della sessualità nel nostro tempo è rappresentato dagli ultimi pronunciamenti giuridici relativi al cambiamento anagrafico di sesso. Finora il riconoscimento anagrafico della variazione del nome in rapporto al mutamento di genere doveva basarsi su riscontri clinici, che prevedevano una modificazione anche anatomica e morfologica degli organi genitali (D. Lgs 150/2011). Già nel 2015 la Corte di Cassazione (sentenza n. 15138 del 20 luglio) ha introdotto la possibilità di chiedere il cambiamento anagrafico di sesso pure in assenza di interventi chirurgici. In linea con tale pronunzia della Suprema Corte, nel marzo 2018 il Tribunale di Messina ha ribadito questo diritto del soggetto, motivandolo con la considerazione che: “il desiderio di realizzare la coincidenza tra soma e psiche è, anche in mancanza dell’intervento di demolizione chirurgica, il risultato di un’elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici corrispondenti ai diversi profili di personalità e di condizione individuale”. Giacobbi si domanda se sia realistico e saggio far consistere l’appartenenza di genere in un puro stato mentale dichiarativo e disconnesso dal dato corporeo, per quanto trasformato e ridisegnato da interventi ormonali e chirurgici.


Quale deve essere il passaggio che porta dal desiderio al diritto? L’A. non ha ovviamente una risposta assodata, ma il suo pamphlet qualche spunto ce lo offre. In certi passaggi egli si appoggia ad alcuni noti e ben consolidati concetti che, nel contesto in studio, sembrano però contenere una carica quasi eversiva. Egli dichiara che “la psicoanalisi ha creduto e crede ancora (...) che l’inconscio abbia in parte uno statuto filogenetico e quindi sia stabilizzato e radicato profondamente in noi, al di là degli aspetti coscienti del funzionamento, degli atteggiamenti e orientamenti della mente conscia, possibile invece di trasformazioni anche rapide”. Ciò induce a “rifiutare il riduzionismo antibiologico di cui una forma sottilmente edulcorata asserisce che è la cultura ad essere la ‘natura’ dell’uomo ed è grazie a tale ‘natura’ che l’uomo sopperisce a quella carenzialità e indefinitezza che lo caratterizzano” (p. 30). Eterno sogno di oltrepassarsi, di diventare altro da sé, sogno che, in forme diverse, da Icaro a Nietzsche, è abitato pur sempre dall’incubo della caducità dell’umano. 

Nei capitoli centrali, Giacobbi esamina le ricadute etiche del dominio della tecnica, di un Prometeo irresistibilmente scatenato, e rammenta al lettore la necessità di rinnovare quel principio di responsabilità di Jones (1979), che si basa non sul soddisfacimento immediato del desiderio – sulla “totemizzazione del desiderio”, valutato come bisogno incontestabile e come diritto da garantire sempre e comunque -, bensì “sulla valutazione delle conseguenze possibili, anche nel lungo periodo, delle azioni” (p. 35). 
Un principio di responsabilità che deve guidare anche le funzioni genitoriali, da lui “considerate intrinsecamente e sinergicamente differenziate, anche indipendentemente dal loro ancoraggio nel corpo” (p. 46). Seguendo i paradigmi di Fornari, Giacobbi torna a indagare i codici materni e quelli paterni, e poi si sofferma sulle fasi pre-edipiche della coppia madre/bambino. L’enigma della vita, sempre più spogliato di mistero, si intesse ambiguamente con i segreti delle origini, che entrano vieppiù in una logica di mercato: “ci troviamo di fronte a una compravendita che riguarda sia parti del corpo (sperma, ovulo, utero), sia l’espletamento di una funzione, che, nel caso dell’utero in affitto, prevede nove mesi di gestazione e il parto, dal quale nasce al mondo un bambino su cui la cosiddetta madre biologica rinuncia, per contratto, a rivendicare i diritti di maternità” (p. 77). La retorica del “dono” addolcirebbe l’esperienza, mentre quella dell’“amore” attenuerebbe la traumaticità per l’oggetto terzo, il bambino. 

Il linguaggio di Giacobbi è misurato e ben documentato; il tono pacato, ma fermo. Si tratta senz’altro di una voce fuori dal coro. Una voce autorevole che porta pensiero. Un pensiero coraggioso disposto al confronto. Con acume e garbo. 

Note bibliografiche

BERSANI G., IANNITELLI A. (2015). Omogenitorialità: esiste la necessità di una riflessione degli esperti della salute mentale? Riv. Psichiatr., 50 (1), 1-2. 
CHASSEGUET-SMIRGEL J., Il corpo come specchio del mondo, Raffaello Cortina, Milano, 2005]. 
CORSA R. (2016). “Corpi mutanti”. In: Vessella S. (a cura di), Maternità surrogate. Dossier SPIweb, https://www.spiweb.it/dossier/maternita-surrogate/corpi- mutanti/ (https://www.spiweb.it/libri/psychoanalysis-today/)
HARAWAY D. (1983-1991). “A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Century”. Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, Routledge, London/New York, 1991 [Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano, 1995]. 
JONES H. (1979). Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica. Einaudi, Torino. 
MARION P. (2017). Il disagio del desiderio. Sessualità e procreazione nel tempo delle biotecnologie. Roma, Donzelli. 
VEGETTI FINZI S. (2013). “Freud e il senso della divisione dei ruoli”. Corriere della Sera, 2 gennaio 2013. 


martedì 28 maggio 2019

IL CASO RICCI

Testo del Comunicato Stampa a firma del Collegio della Difesa (Avv. Davide Fortunato e Valeria Gerla) a proposito della Delibera di Archiviazione dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia 






COMUNICATO STAMPA
Sul caso Ricci


Il 17 gennaio 2019 si è riunita la Camera di Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia per pronunciarsi sul procedimento disciplinare nei confronti del dott. Giancarlo Ricci e relativo ad alcune affermazioni pronunciate nel corso di una trasmissione televisiva del 2016. Solo dopo oltre tre anni di udienze il Consiglio, in ragione di 7 Consiglieri favorevoli e 7 contrari, ha deciso per l’archiviazione del procedimento.
Un esito che è frutto anche dell’intenso lavoro del collegio difensivo e che, per amore di verità, merita alcune considerazioni. Per oltre tre anni, dinanzi alla comunità scientifica, ai colleghi, al mondo istituzionale, il dott. Ricci è stato considerato come l’”incolpato”, termine usato nella Delibera iniziale. Tale situazione ha costretto il dott. Ricci a rimandare - e spesso annullare - varie attività pubbliche.

Riteniamo utile ripercorrere velocemente, qui di seguito, alcuni momenti significativi di questo lungo processo.


 


Oltre al contenuto delle dichiarazioni rese nell’ambito della trasmissione televisiva nel gennaio 2016, il Consiglio, in ragione delle difese svolte, ha potuto esaminare vari documenti, dépliant, scambi di mail, estratti di verbali di altri procedimenti, post di Facebook e altri estratti pubblicati in rete. Sono stati prodotti documenti che, a parere del Collegio difensivo, avrebbero dovuto condurre alla ricusazione di due Consiglieri. Per due volte, il Consiglio ha ritenuto che la documentata “profonda inimicizia” di due consiglieri nei confronti del dott. Ricci non giustificasse la richiesta di ricusazione. Le argomentazioni fornite in punto dal Consiglio appaiono deboli ed ellittiche di riferimenti alla ampia documentazione prodotta. Nel corso del procedimento si è dovuto, tra l’altro, prendere atto della volontà di un testimone di non rispondere ad alcune domande della Difesa.
Leggendo la Delibera di archiviazione rileviamo, nella descrizione delle motivazioni, alcuni punti che meritano alcune precisazioni.
Nella descrizione dello svolgimento del procedimento, in primo luogo, non si fa menzione del fatto che il dott. Ricci ha puntualmente ed esaurientemente replicato alle tre accuse principali, ovvero, nella estrapolazione delle affermazioni rese nel brevi interventi nel corso della trasmissione, ha fornito un chiarimento sul dott. Nicolosi, (“quello è stato detto su Nicolosi è del tutto arbitrario”), ha precisato una opinione scientificamente documentabile (“la funzione di padre e madre è essenziale e costitutiva del percorso di crescita”) ed ha offerto un commento personale con riguardo ad un tema di attualità (“nell’ideologia gender (…) l’omosessualità viene equiparata a una sessualità naturale, all’eterosessualità”). Sul primo aspetto è stata documentata, mediante comunicazione proveniente dal competente organo istituzionale statunitense, la bontà di quanto precisato dal dott. Ricci sul prof. Nicolosi: di tale importante elemento, non vi è traccia nel provvedimento.
Nel provvedimento, in contraddizione con l’iniziale impianto accusatorio, si legge: “oggetto del procedimento disciplinare a carico del dott. Ricci non sono eventuali sue posizioni riguardo a temi importanti, bensì il modo in cui egli ha ritenuto, in quanto psicologo, di poter trattare ed esporre tali temi all’utenza”. Ed ancora: “pertanto al dott. Ricci non è mai stato contestato cosa ha trattato, bensì come lo ha trattato; a prescindere dall’argomento, ciò che rileva e rileverà in sede disciplinare sarà come l’iscritto, in quanto psicologo, abbia restituito all’utenza tale argomento in termini di rigore scientifico, correttezza e puntualità”. Dunque da una parte si afferma che “non viene contestato ciò che Ricci afferma”, dall’altra che è “rilevante in sede disciplinare come Ricci ha restituito all’utenza tale argomento in termini di rigore scientifico, correttezza e puntualità”. La contraddizione pare, non solo al Collegio difensivo, evidente.


A fronte delle varie e numerose contestazioni mosse con l’avvio del Procedimento, risulta inspiegabile l’affermazione secondo cui “al dott. Ricci non è mai stato contestato cosa ha trattato, bensì come lo ha trattato”. Ciò nondimeno senza considerare che “ciò che Ricci ha trattato” è frutto di una estrapolazione di circa 3 frammentati ed interrotti minuti in cui l’incolpato è intervenuto su circa 45 minuti complessivi di trasmissione.
I tre minuti presi in esame sono stati, inoltre, nel corso della trasmissione oggetto di continue interruzioni, battute, commenti, sovrapposizioni di altre voci in un clima che rendeva impossibile un’efficace o puntuale replica rispetto agli argomenti posti.
Nel provvedimento di archiviazione si legge: “Pur permanendo irrinunciabili perplessità in ordine a orientamenti dottrinari e scenari metodologici a cui le affermazioni del dott. Ricci potrebbero voler fare riferimento e nell’impossibilità in sede disciplinare, di poter affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che tale diretto collegamento vi sia, ritiene questo Consiglio […] che non sono emersi elementi sufficienti per ritenere il dott. Ricci responsabile per gli illeciti contestati” e quindi “ha deciso di archiviare il procedimento disciplinare”.
Da un lato, dunque, il Consiglio chiarisce come non fosse oggetto di procedimento il “cosa”, ma solamente il “come”; dall’altro si legge che il Consiglio nutre “perplessità in ordine a orientamenti dottrinali” dell’incolpato.
Assolto, dunque, per insufficienza di prove?
Parrebbe così. Probabilmente le “irrinunciabili perplessità” dei sette Consiglieri che hanno votato contro l’archiviazione non sono state in grado di affermarsi, non hanno trovato sufficienti appigli per tradursi in una sanzione. Significativo che, nelle ultime righe si legga “il Consiglio ritiene di non poter sanzionare”. La scelta del predicato è, forse, rivelatrice: “poter” invece che il più appropriato “dover” sanzionare.
Rimane la perplessità in ordine al tempo occorso per stabilire che non si può sanzionare il Dott. Ricci per aver espresso un’opinione scientificamente documentata in alcuni frammenti di una trasmissione televisiva.
Così, pertanto, si è concluso il terzo esposto (analogamente a quanto già accaduto nel 2009 e nel 2011). Nel frattempo, nel 2017, 2018 e 2019, il Dott. Ricci ha ricevuto ulteriori tre esposti: una attenzione eccezionale, un vaglio costante del pensiero e dell’attività di un professionista che si limita a dar voce ad un filone non irrilevante del pensiero scientifico in ambito psicologico.
Non può nascondersi che per il Dott. Ricci, così come per qualsiasi altro iscritto all’Ordine, ricevere continui esposti e doverne rispondere ha il sapore di intimidazione.
L’utilizzo di questi procedimenti deontologici sembra, infatti, tradire le ragioni su cui si fondano gli Ordini professionali: più che garantire e tutelare la libertà di espressione, di ricerca e di civile confronto tra i suoi membri, parrebbe si preferisca  procedere a un controllo sulle opinioni ed ad una verifica di conformità del pensiero del professionista al mainstream.
Ricevere ripetutamente degli esposti, alcuni dei quali di scarso contenuto fattuale e giuridico e relativi a fatti risalenti nel tempo, costringe il professionista a spendere tempo ed energie per predisporre una difesa su accuse perlopiù inconsistenti; ad investire legali della tutela dei propri diritti di cittadino e di studioso; a valutare la necessità di sporgere querele per la diffamazione aggravata e la calunnia cui è di continuo sottoposto.
Non si può dimenticare che, qualora il procedimento in questione si fosse concluso con una sanzione disciplinare (l’unica in decenni onorata carriera), un grave danno sarebbe stato arrecato non solo al dott. Ricci, ma anche a tutti i pazienti che a quest’ultimo si affidano.
La durata del procedimento, oltre tre anni come detto, sembra, infatti, ledere anche i pazienti reali (tutt’altro che ipotetici), che in questo lungo periodo di tempo hanno temuto di vedere il loro psicanalista sospeso: essi sono stati forse dimenticati, in nome di una “tutela” per le ignote “vittime potenziali” di alcune frasi estrapolate da 200 frammentati secondi di una trasmissione televisiva.
Si giunge, dunque, al paradosso: nel tentativo di tutelare le fantomatiche vittime di frasi teoricamente discriminatorie, si trascurano gli interessi di un professionista, dei suoi pazienti e, nondimeno, la tutela del libero pensiero.
L’auspicio, a conclusione di questa vicenda, è che la comunità scientifica riscopra il gusto ed il valore del confronto civile e non ceda alla logica dell’aggressione personale per delegittimare l’opinione altrui.
Anche per affrontare queste tematiche, abbiamo voluto organizzare alcuni incontri che raccontino questa vicenda e cerchino di fornire un giudizio interpretativo di quanto accade nel nostro Paese: il primo incontro sarà mercoledì 29 maggio 2019 alle ore 21.00 presso l’Angelicum (in Milano, ingresso Via Renzo Bertoni 7 – Sala San Bernardino).


Milano, 21 maggio 2019
Il Collegio di Difesa (Avv. Davide Fortunato e Avv. Valeria Gerla) 


lunedì 4 marzo 2019

SULLA POST LIBERTA'. Intervista a Giancarlo Ricci

La giornalista Caterina Giojelli ha intervistato G. Ricci sul suo libro "Il tempo della post libertà".
 "Vivere come automi al tempo della libertà coatta”: 
l'intervista è uscita su TEMPI.It il 28.2.19. 



«La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Adesso ci vorrebbe il pensiero». È un aforisma di Karl Kraus, scrittore e noto polemista viennese, e per Giancarlo Ricci è il più efficace emblema della condizione della libertà al tempo dei “mezzi senza fine”: che ne è della libertà di parola e di pensiero, si è chiesto lo psicanalista quando, anno 2016, si è trovato al centro di una vicenda che ha davvero svelato tutte le idiosincrasie e le ossessioni della società dei nuovi diritti e delle infinite possibilità? 
Da questo interrogativo ha preso le mosse un libro strepitoso, Il tempo della postlibertà. Destino e responsabilità in psicoanalisi (192 pagine, Sugarco edizioni), navicella capace di inoltrarsi in mare aperto, spinta dal vento costante dell’indignazione. Ricci, spiega a tempi.it, è ancora in attesa di sapere l’esito del procedimento disciplinare emesso dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia nei suoi confronti tre anni fa quando, ospite della trasmissione televisiva “Dalla vostra parte”, avrebbe fatto affermazioni che secondo i colleghi «possono realizzare discriminazioni a danno di alcuni soggetti», manifestando «un comportamento contrario al decoro, alla dignità e al corretto esercizio della professione». 

Tempi vi aveva già raccontato come erano andate le cose: nei cinque minuti in tutto in cui ha potuto parlare, Ricci ha affermato che «la funzione di padre e madre è essenziale e costitutiva alla funzione di crescita del figlio». Apriti cielo. Un professionista stimato e conosciuto a Milano, dove esercita da oltre quarant’anni, membro analista dell’Associazione lacaniana italiana di psicoanalisi, esperto di Freud, giudice onorario presso il Tribunale dei minori di Milano, autore di diversi volumi di psicologia e decine di studi specialistici, ha parlato della necessità di mamma e papà, senza usare l’onnicomprensivo e neutrale “genitore”: «In materia di parole l’ideologia va per le spicce. Secondo l’accusa quanto ho detto risulta discriminatorio non solo nei confronti delle coppie omosessuali o delle famiglie arcobaleno ma anche nei confronti di quelle famiglie che si ritrovano senza un padre o senza una madre, sebbene né i primi né i secondi fossero oggetto della mia affermazione. La malafede è evidente, la logica di questo paralogismo è tale che se qualcuno affermasse che “l’uomo per vivere deve mangiare” potrebbe essere accusato di discriminare coloro che non hanno nulla da mangiare – racconta Ricci. L’Ordine degli Psicologi non è un ordine di pensiero: da quando il suo compito è verificare la capacità espressiva e la pertinenza teorica e scientifica dei suoi associati, nonché di esprimere un giudizio in merito? Non solo sono stato trattato come se fossi stato un venditore di pentole capitato per caso in una trasmissione televisiva, ma in questi tre anni mi sono arrivati all’Ordine altri due esposti (con questi sono cinque dal 2009), sottoscritti da simpatizzanti Lgbt ossessionati dalla minuziosa verifica se il sottoscritto pratichi o meno la cosiddetta terapia riparativa (Ricci non la pratica in quanto i riferimenti teorici e clinici sono differenti, ndr). L’ultima udienza sul mio “caso” si è tenuta il 17 gennaio, al termine della quale si sono ritirati per deliberare. Lei li ha più visti ? >>

giovedì 17 gennaio 2019

L'INDIVIDUO UNISEX POSTIDENTITARIO

Pubblichiamo dal libro di DIEGO FUSARO
(Rizzoli, 2018) alcuni passi di un paragrafo. 


L’individuo unisex postidentitario 


“Chi cerca l’uguaglianza tra diseguali, 
 cerca una cosa assurda”
 SPINOSA, Trattato politico 


Con una felice espressione dello Hegel di Fede e sapere, potremmo asserire che la nostra è l'epoca dell’ “indifferenza verso il differente”: la tendenza al livellamento planetario e all'omologazione sconfinata sopprimono i differenti e, più in generale, neutralizzano tutto ciò che non è affine al modello unico. 

Nell'orizzonte della neutralizzazione del diritto alle differenze, si inscrive anche l'ideologia planetaria gender, espressione coerente della passione del medesimo, del neutro e dell'indifferenziato propria della mondializzazione. 
Comparso per la prima volta nel 1955 con il sessuologo John Money, il lemma gender allude senza equivoci al fatto che l'individuo è, ab origine,, neutro e, per così dire, asessuato, e si rappresenta liberamente come uomo o come donna, in una riduzione dell'elemento biologico non tanto, come si ripete, a quello culturale, sociale e convenzionale, ma semmai al consumatore solitario e sciolto da ogni vincolo con il genere, con il sesso e con la comunità di appartenenza.
L'antropologia genderistica muove dal falso presupposto
secondo cui gli esseri umani, lungi dal nascere all'interno di famiglie in cui la differenza sessuale è costitutiva, spuntano ed esistono con i funghi evocati da Hobbes nel De cive.
Promettendo la liberazione degli individui e, in verità, promuovendo la loro integrale sussunzione sotto leggi del capitale, la gendercrazia aspira a creare un nuovo modello umano unisex, infinitamente manipolabile, perché privo di un'identità che non sia quella di volta in volta stabilita dalla sfera della circolazione. 

Proteo postmoderno, individuo genderizzato e postidentitario potrà, in astratto, assumere tutte le forme che vorrà darsi, in quanto non più vincolato ad alcuna identità di sesso e di genere: in concreto, assumerà al pari dei liquidi, la forma che di volta in volta il contenitore del turbocapitalismo vorrà imporgli.
Come il falso multiculturalismo, che risolve le culture e ne rioccupa lo spazio vacante con il valore di scambio, la teoria del gender produce il livellamento e la neutralizzazione delle differenze, affinché l'economia possa integralmente impadronirsi del nuovo individuo senza identità. 
L'uomo unisex corrisponde a un puro atto materiale consumatore di merci ed erogatore di forza lavoro flessibile e precaria, ciò che suffraga i versi di Franco Fortini: “Al profitto e al suo volere / tutto l'uomo si tradì”.
[…] La posmodernizzazione, lo abbiamo detto, procede frammentando le identità e lo fa anche nell'ambito del sesso, ricostruendo l’ultima - e apparentemente più solida - barriera identitaria, quella sessuale, mediante la negazione del dimorfismo maschile e femminile.
L’indifferenzialismo sessuale propugnato dell'ideologia genderista si fonda sul falso presupposto in accordo con il quale  la vera giustizia risiede nella conciliazione coatta delle differenze e nella coerente produzione del modello unico indistinto, uniformato, indifferenziato, diversificato solo per il valore di scambio singolarmente disponibile. Ciascuno atomo unisex, originariamente indifferenziato, potrà poi decidere cosa essere in concreto (uomo, donna, tranne tender, eccetera), sul fondamento del suo incondizionato desiderio consumistico.
Come abbiamo visto, il teorema fondativo del genderismo è quello in accordo con il quale “saremmo veramente uguali solo essendo identici; avremmo lo stesso valore assumendo gli stessi ruoli, mentre il riconoscimento delle differenze, anche le più evidenti, perpetuerebbe l’ineguaglianza e l'oppressione".

In tal modo, l'uguaglianza va a coincidere con la neutralizzazione e con l'indistinzione e, insieme, prolifera al ritmo stesso del prosperare della disuguaglianza economica, l'unica che non venga mai messa in discussione, né menzionata, nel quadro del nuovo ordine mondiale, del quale è a tutti gli effetti il fondamento primissimo.
La stessa differenza di sesso di genere tra uomo e donna viene additata come discriminatoria e, conseguentemente, cancellata a favore dell'individuo gender fluid, che liberamente -  pura materia non signata - potrà determinare da sé cosa essere, secondo il proprio capriccio consumistico e il proprio privato desiderare sciolto da ogni legge.
[…] In termini generali, le gender theories insistono sul
fatto che il maschile e il femminile sarebbero un mero costrutto socio culturale e che siffatto costrutto verrebbe da sempre impiegato da una parte (il maschile) per soggiogare dominare l'altra (il femminile). La terapia proposta è, inevitabilmente, la neutralizzazione, l’indifferenziazione neutralizzante.
Più precisamente, secondo l’ortopedizzazione variamente proposta dai gender studies  e dai pedagoghi dell’eroticamente  corretto, la società deve essere sessualmente neutra e unisex e, al tempo stesso, ipersessualizzata: neutra, giacché deve essere annullata la differenza tra il maschile e il femminile, a beneficio del soggetto unisex che si autodetermina secondo il proprio desiderio individualizzato di matrice panconsumistica; ipersessualizzata, perché la desacralizzazione del sesso il suo affrancamento dalla vita etica familiare e dalla sua funzione procreativa lo inseriscono nei circuiti del plusgodimento.




Il cosiddetto “rifiuto degli stereotipi” sempre invocato degli architetti del genderismo e dai pedagoghi dell'ortodossia si rivela esso stesso funzionale alla creazione del nuovo e insindacabile stereotipo dell'individuo neutro genderizzato: che ha appreso a respingere aprioristicamente come “omofobico” e pericolosamente connesso al vecchio “patriarcato” tutto ciò che esuli dal nuovo ordine amoroso. (pp.224 e sgg).