Pubblichiamo a proposito del libro dello psicoanalista
SECONDO GIACOBBI,
Omogenitorialità. ideologia, pratiche, interrogativi (Mimesis 2019),
la recensione di RITA CORSA apparsa
sul sito SPIweb che ringraziamo.
Un paio d’anni fa, mi è capitato di subire un attacco frontale da parte di un esponente delle associazioni LGBT, perché sul bel dossier, Maternità surrogate, curato da Silvia Vessella per “SPIweb” (2016), avevo osato problematizzare la delicata questione della surrogacy. Sia ben chiaro, non avevo scoccato alcuno strale contro tale pratica, ma avevo semplicemente rilevato che, in quest’età caratterizzata dall’affermazione totalitaria di τέχνη, le biotecnologie estreme consentono di non porre più dei limiti al desiderio, che diventa subito gesto, traducendo la fantasia in atto. Tale movimento provocherebbe, invero, un impoverimento del registro simbolico del pensiero, che si appiattirebbe sul reale. E aggiunsi che “l’utero della donna con la sua funzione riproduttiva è, forse, l’organo” che sta patendo la più profonda e brutale metamorfosi, anche sul piano simbolico. “Le strabilianti acquisizioni della genetica riproduttiva e della chirurgia ostetrico-ginecologica stanno rivoluzionando il concetto di maternità, di paternità e di genitorialità”. Apriti cielo!
Il libro di Giacobbi che vado qui a recensire propone delle riflessioni assolutamente non allineate sul tema dell’omogenitorialità, fatto che mi ha subito catturato, perché penso che le idee vadano scambiate in una dimensione dialettica, e non trattate come dogmi ideologici inscalfibili. Pure Paola Marion, nel suo recentissimo Il disagio del desiderio (2017), segnala che “negli ultimi decenni abbiamo assistito alla modificazione di un vincolo, quello tra sessualità e procreatività, che si era mantenuto nel corso di tutta la storia umana” (2017, p. 16). Le straordinarie conquiste delle biotecnologie hanno introdotto delle modificazioni radicali nel campo della procreazione e della genitorialità, con delle ricadute ancora non chiare sull’identità personale e sessuale, sulla sfera del desiderio e sull’idea stessa di piacere.
Il libro di Giacobbi che vado qui a recensire propone delle riflessioni assolutamente non allineate sul tema dell’omogenitorialità, fatto che mi ha subito catturato, perché penso che le idee vadano scambiate in una dimensione dialettica, e non trattate come dogmi ideologici inscalfibili. Pure Paola Marion, nel suo recentissimo Il disagio del desiderio (2017), segnala che “negli ultimi decenni abbiamo assistito alla modificazione di un vincolo, quello tra sessualità e procreatività, che si era mantenuto nel corso di tutta la storia umana” (2017, p. 16). Le straordinarie conquiste delle biotecnologie hanno introdotto delle modificazioni radicali nel campo della procreazione e della genitorialità, con delle ricadute ancora non chiare sull’identità personale e sessuale, sulla sfera del desiderio e sull’idea stessa di piacere.
Per Giacobbi, il tema dell’omogenitorialità attraversa una serie di
questioni nodali, tra cui quella, annosa, del rapporto tra natura e cultura, che per alcuni studiosi è un tema ormai obsoleto, in quanto superato dal meticciato uomo/macchina, che sta conducendo ineludibilmente alla graduale supremazia dell’ibrido transumano (Haraway, 1991). Giacobbi rimarca che la problematica tecnologica si intreccia intimante con l’etica, ma anche con la dimensione del desiderio, con i bisogni e i diritti, con le funzioni genitoriali e le sempre più incerte differenze tra i corpi (femminile e maschile). L’autore si chiede quali siano gli assetti mentali, le strutture inconsce della mente, e le modalità relazionali che caratterizzano da un lato la famiglia tradizionale e, dall’altro, le “nuove famiglie”. Egli sviluppa il suo discorso mantenendo fisso, a mo’ di stella polare, l’assunto che il bisogno da difendere è, innanzitutto, quello del bambino. Rimandando a un articolo di Silvia Vegetti Finzi (uscito nel 2013 sulle pagine del Corriere della Sera), Giacobbi sostiene che non si può parlare di alcun diritto alla genitorialità, ma che semmai “il solo diritto è quello del bambino” (p. 8).
Affrontando tali attualissimi argomenti, l’A. pone una serie di domande più direttamente inerenti la dimensione clinica, indicando delle ricerche che comproverebbero possibili danni nello sviluppo dei figli di genitori omosessuali, di contro ad altre che li escludono. Il materiale scientifico è esaminato con rigore ed equidistanza, e si distingue per il prevalere di una riflessione posata ed equilibrata, invece di scadere, come di frequente accade, in una sterile conflittualità ideologica. Ben sappiamo che le varie guerre di religione ancora in corso sulla composita faccenda dell’omogenitorialità insanguinano il pensiero scientifico e inibiscono una spassionata disamina specialistica. Mi viene in mente un folgorante lavoro di Bersani e Iannitelli – puntualmente citato da Giacobbi nel suo saggio – in cui i due studiosi invitano la comunità scientifica a non trattare ideologicamente il problema dell’omogenitorialità e avanzano degli interrogativi cruciali, che lasciano volutamente aperti. Tra i tanti, spicca uno che sembra far eco alle idee di Giacobbi: “È possibile misconoscere che il bambino è un ‘soggetto’ di questo diritto, prima, o invece, che un ‘oggetto’ del diritto di una coppia di allevare un figlio?” E concludono che, a fronte di una assai scarna letteratura “(...), il dato più eclatante appare quello di come l’assenza di riflessione critica, ampiamente diffusa nell’opinione pubblica, soprattutto sotto l’influenza dei media e della classe politica, sia largamente estesa in ambito psichiatrico, psicologico e neuropsichiatrico infantile, dove la competenza dei professionisti dovrebbe invece maggiormente stimolare interrogativi sulle conseguenze del fenomeno, almeno potenziali o comunque meritevoli di essere approfondite ed eventualmente escluse” (Bersani e Iannitelli, 2015, p. 2).
Il volume di Giacobbi ha certamente il merito di tentare di dipanare l’intricata faccenda da diverse prospettive, tenendosi ben lontano da posizioni che, ad esempio, vogliano riproporre una concezione patologica dell’omosessualità. Non mancano pagine di natura più propriamente giuridica, che servono a collocare la materia nell’ambito delle regole della convivenza sociale. Alcuni capitoli sono dedicati proprio a scongiurare qualsivoglia pregiudizio clinico, sociale e politico sull’omosessualità, concepita come una naturale manifestazione della sessualità individuale rivolta verso l’Altro, oggetto vivente.
Giacobbi, tuttavia, ritiene che “lo studio delle sessualità legate al genere e all’orientamento sessuale debba continuare a rappresentare un ambito privilegiato, non solo della ricerca, ma anche e soprattutto della clinica”. Quindi, per lui “(...) si può ipotizzare che esiste una ‘sessualità femminile’ ed una ‘sessualità maschile’ e, allo stesso modo, una sessualità omosessuale femminile e una sessualità omosessuale maschile” (p. 18). Insomma, l’identità di genere è un principio che va ancora fermamente considerato. Le osservazioni di Giacobbi sono supportate da una ricca letteratura freudiana e post-freudiana e argomentate con chiarezza e linearità. Una sorta di strato roccioso, che però la nuova tecnologia medico-chirurgica sta progressivamente smantellando, rendendo la cornice metapsicologica sinora adottata sempre più insufficiente e inadeguata. Per Chasseguet-Smirgel, infatti, “la plasmabilità corporea” promossa dalla biotecnologia sta producendo una “rivolta contro l’ordine biologico”, che sconquassa anche “l’ordine del pensiero psicoanalitico”, in passato saldamente connesso all’epifania somatica (2003, pp. 12-16).
Un esempio illuminante della drammatica aporia tra le
Picasso, Il Minotauro e le metamorfosi |
Quale deve essere il passaggio che porta dal desiderio al diritto? L’A. non ha ovviamente una risposta assodata, ma il suo pamphlet qualche spunto ce lo offre. In certi passaggi egli si appoggia ad alcuni noti e ben consolidati concetti che, nel contesto in studio, sembrano però contenere una carica quasi eversiva. Egli dichiara che “la psicoanalisi ha creduto e crede ancora (...) che l’inconscio abbia in parte uno statuto filogenetico e quindi sia stabilizzato e radicato profondamente in noi, al di là degli aspetti coscienti del funzionamento, degli atteggiamenti e orientamenti della mente conscia, possibile invece di trasformazioni anche rapide”. Ciò induce a “rifiutare il riduzionismo antibiologico di cui una forma sottilmente edulcorata asserisce che è la cultura ad essere la ‘natura’ dell’uomo ed è grazie a tale ‘natura’ che l’uomo sopperisce a quella carenzialità e indefinitezza che lo caratterizzano” (p. 30). Eterno sogno di oltrepassarsi, di diventare altro da sé, sogno che, in forme diverse, da Icaro a Nietzsche, è abitato pur sempre dall’incubo della caducità dell’umano.
Nei capitoli centrali, Giacobbi esamina le ricadute etiche del dominio della tecnica, di un Prometeo irresistibilmente scatenato, e rammenta al lettore la necessità di rinnovare quel principio di responsabilità di Jones (1979), che si basa non sul soddisfacimento immediato del desiderio – sulla “totemizzazione del desiderio”, valutato come bisogno incontestabile e come diritto da garantire sempre e comunque -, bensì “sulla valutazione delle conseguenze possibili, anche nel lungo periodo, delle azioni” (p. 35).
Un principio di responsabilità che deve guidare anche le funzioni genitoriali, da lui “considerate intrinsecamente e sinergicamente differenziate, anche indipendentemente dal loro ancoraggio nel corpo” (p. 46). Seguendo i paradigmi di Fornari, Giacobbi torna a indagare i codici materni e quelli paterni, e poi si sofferma sulle fasi pre-edipiche della coppia madre/bambino. L’enigma della vita, sempre più spogliato di mistero, si intesse ambiguamente con i segreti delle origini, che entrano vieppiù in una logica di mercato: “ci troviamo di fronte a una compravendita che riguarda sia parti del corpo (sperma, ovulo, utero), sia l’espletamento di una funzione, che, nel caso dell’utero in affitto, prevede nove mesi di gestazione e il parto, dal quale nasce al mondo un bambino su cui la cosiddetta madre biologica rinuncia, per contratto, a rivendicare i diritti di maternità” (p. 77). La retorica del “dono” addolcirebbe l’esperienza, mentre quella dell’“amore” attenuerebbe la traumaticità per l’oggetto terzo, il bambino.
Il linguaggio di Giacobbi è misurato e ben documentato; il tono pacato, ma fermo. Si tratta senz’altro di una voce fuori dal coro. Una voce autorevole che porta pensiero. Un pensiero coraggioso disposto al confronto. Con acume e garbo.
Note bibliografiche
BERSANI G., IANNITELLI A. (2015). Omogenitorialità: esiste la necessità di una riflessione degli esperti della salute mentale? Riv. Psichiatr., 50 (1), 1-2.
CHASSEGUET-SMIRGEL J., Il corpo come specchio del mondo, Raffaello Cortina, Milano, 2005].
CORSA R. (2016). “Corpi mutanti”. In: Vessella S. (a cura di), Maternità surrogate. Dossier SPIweb, https://www.spiweb.it/dossier/maternita-surrogate/corpi- mutanti/ (https://www.spiweb.it/libri/psychoanalysis-today/)
HARAWAY D. (1983-1991). “A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Century”. Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, Routledge, London/New York, 1991 [Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano, 1995].
JONES H. (1979). Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica. Einaudi, Torino.
MARION P. (2017). Il disagio del desiderio. Sessualità e procreazione nel tempo delle biotecnologie. Roma, Donzelli.
VEGETTI FINZI S. (2013). “Freud e il senso della divisione dei ruoli”. Corriere della Sera, 2 gennaio 2013.
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