martedì 30 settembre 2014

LA STORIA DEI GEMELLI REIMER E IL GENDER. Intervista a JOHN COLAPINTO


Pubblichiamo l'intervista a John Colapinto, autore del libro Bruce, Brenda e David. Il ragazzo che fu cresciuto come una ragazza (Ed. San Paolo, 2014). 
E' la storia che racconta la nascita, negli anni '60 in America, del concetto di gender. Il dottor Money applica le sue teorie sul gender  a uno dei gemelli Reimer.

L'intervista si riferisce al video reperibile su YouTube:  http://youtu.be/lJuHjQ5IlUY

DOMANDA: Cosa è più importante nel determinare l'identità sessuale? La natura o la cultura? Il dibattito si è sviluppato con il sorprendente caso del bimbo canadese che è stato cresciuto come una bambina, dopo avere perso il pene in una circoncisione male eseguita.

Il caso è stato utilizzato per anni come prova a sostegno dell'idea che non si nasce maschi e femmine ma lo si diventa tramite educazione. Il giornalistaJohn Colapinto ha svelato che il cambiamento di sesso è stato un terribile fallimento. La ragazza è tornata ad essere un ragazzo. Questo nuovo libro si intitola Bruce, Brenda e David. Il ragazzo che fu cresciuto come una ragazza, (Ed. San Paolo).
In un senso o nell'altro questo libro ha fatto parlare di sé per 30 anni; ma solo recentemente, quando è stata resa nota l'identità del bambino, è venuta a galla tutta la verità. Per coloro che non la conoscono, raccontaci la storia della famiglia Reimer e di quanto è accaduto al loro bambino. 
COLAPINTO. Nel 1965 Ron e Janet Reimer, una giovane coppia non ancora ventenne, ha avuto una coppia di gemelli, Bruce e Brian.
A circa 8 mesi i bambini hanno manifestato una patologia chiamata fimosi, ovvero  un restringimento del prepuzio in punta. Il loro medico, a Winnipeg, consigliò la circoncisione. Per puro caso Bruce è stato il primo a essere circonciso. La circoncisione viene di solito eseguita con bisturi e uno strumento chiamato clamp, simile a un'attrezzatura operatoria chiamata elettrocauterio che usa il calore per chiudere i vasi sanguigni mentre taglia. Il medico, per errore o per un cattivo funzionamento dello strumento, bruciò l'intero pene del bambino. Nel giro di alcuni giorni il pene si necrotizzò e si staccò completamente. Era il 1966, i gemelli avevano 8 mesi, i genitori erano assolutamente sconvolti. Si rivolsero a tutti i medici per chiedere cosa dovevano fare.
Venne detto loro che il pene non poteva essere ricostruito in modo efficace che consentisse di urinare in piedi e avere rapporti sessuali. Si sarebbe potuta applicare come un'appendice di tessuto, ma non avrebbe avuto un aspetto normale, né avrebbe funzionato correttamente. Si chiesero: “Questo è il meglio che la scienza medica ci può offrire?”Si rivolsero allora a una grande clinica e venne detta loro la stessa cosa, e questo li fece sprofondare davvero nella disperazione. Tornarono a Winnipeg e passarono i mesi seguenti in completo isolamento, ritirandosi, pensando a come crescere questo figlio così orribilmente mutilato. Poi, un giorno, mentre stavano guardando alla TV un grande vecchio programma della BBC, This Hour Has Seven Days, videro un uomo, il dott. John Money dell’Istituto Johns Hopkins, e videro quella nuova e straordinaria clinica dove egli lavorava.

Nella clinica si trasformavano gli uomini in donne e le donne in uomini. Si trattava di adulti che avevano l’impressione di vivere nel corpo sbagliato. Oggi siamo abituati all'idea, forse anche troppo, perché negli show televisivi se ne parla in continuazione, ma nel 1967 era una cosa assolutamente pazzesca.
DOMANDA: John Money è molto importante in questa storia, la sua personalità, le sue teorie. Raccontami di lui.
COLAPINTO. Nel momento in cui i Reimer lo incontrano hanno di fronte l'uomo che era ritenuto l'esperto mondiale su tutti gli aspetti della sessualità: il sesso psicologico, l'orientamento sessuale, l'eterosessualità, l'omosessualità, ma anche una idea che risultava nuova nel 1967 e si chiamava “identità di genere”.


mercoledì 24 settembre 2014

"FAMIGLIE" GAY GONFIATE NEI CENSIMENTI. Di Roberto Volpi


Pubblichiamo l'importante articolo di Roberto Volpi "Tutte quelle coppie gay (con figli) sparite dal censimento, o forse mai esistite", tratto da Il Foglio del 23 sett. 2014. Illuminante.

Un mucchio di baggianate. Ecco di cosa abbiamo discusso, ed ecco del resto che cosa hanno tentato di rifilarci: un muc- chio di baggianate. In tutti questi anni di dibattito ideologico e di forzature politiche in vista di rivoluzioni legislative, era sembrato che le coppie omosessuali, gay e lesbiche, fossero un fatto ma che dico ordinario, ma che dico normale: proprio in spolvero, irresistibile e irreversibile, avviate a fare sfracelli e a sostituirsi in ogni città e cittadina ed enclave del nostro pae- se alle ormai declinanti e irrecuperabilmente démodé schiere delle coppie eterosessuali.


E invece? E invece ci vuole un po’ di pazienza e andare sul data-base Istat del censimento 2011, e fare un po’ (ma mica poi tante) di interrogazioni. Dunque.
Risultato della prima interrogazione: 16 milioni 648 mila nuclei familiari, di cui due milioni e 651 mila famiglie monogeni- toriali (un solo genitore più figli) e 13 milioni 997 mila coppie con e senza figli. Risultato della seconda interrogazione: poco meno di 13 milioni 990 mila coppie con o senza figli formate da un uomo e una donna e 7.591 – dicasi 7.591 – coppie con o senza figli formate da persone dello stesso sesso. In altre parole: una manciata di coppie/famiglie omosessuali gay o lesbiche ufficialmente affioranti come relitti di un naufragio tra i milioni e milioni di coppie eterosessuali. 


Avverte tuttavia l’Istat che “i dati relativi alle coppie dello stesso sesso sono sottostimati e si riferiscono solamente alle coppie dello stesso sesso che si sono dichiarate. Molte persone in questa situazione hanno preferito non dichiararsi nonostante le raccomandazioni”. Ok, d’accordo, “molte persone” omosessuali hanno fatto questa scelta del silenzio. Non proprio il massimo, per l’ideologia gender, una tale conclusione, dopo tanto esibito orgoglio, ma tant’è. E però sembra assai difficile supporre che per ogni coppia omosessuale censita ce ne siano, mettiamo, dieci o magari venti sfuggite al censimento, perché nell’eventualità ci sarebbe di che chiedere il subitaneo smantellamento del cen- simento stesso.


Dunque, fate i vostri calcoli. E vedrete che siamo pur sempre dalle parti di una piena marginalità. Fine dei giochi. E che nessuno si azzardi da ora fino al prossimo censimento a buttar lì cifre così per fare, nella convinzione che tanto nessuno te le contesterà mai. Perché invece proprio questo fanno i dati del censimento, che non solo certe cifre le contestano ma affibbiano uno schiaffone alla magniloquenza gay di quelli che lasciano un segno sulla guancia destinato a durare.
E veniamo al punto due. Peggio del primo, se possibile, per le così proclamatorie organizzazioni gay. Figli in coppie di que- sto tipo: 529 – dicasi 529. Uno ogni 14 coppie censite. Insomma, pochissime coppie e niente figli. Ci avevano assicurato, proprio quelle stesse organizzazioni, almeno 100 mila. Centomila figli in famiglie omosessuali e lesbiche. Quelli censiti sono duecento volte di meno. E di nuovo: magari l’I- stat ha, per la stessa ragione di cui sopra, sottostimato i figli nella proporzione di dieci o venti a uno. Ma ci si fermerebbe pur sempre a 5 mila figli, 10 mila alla più lunga, se anche così fosse, anni luce distanti dai tanto reclamizzati 100 mila. 
Salta alla mente il titolo di un romanzo di Hans Fallada – lo scrittore tedesco dei tempi del nazismo che scrisse anche “Ognuno muore solo”, il più bello e importante libro sulla resistenza tedesca – “E adesso, pover’uomo?”. Già, e adesso come la mettiamo? Come la metteranno tutti quelli che non si sono peritati, in questi anni, di cercare di ammannirci una realtà di sessualità ormai del tutto ibrida, confusa, mischiata, indifferenziata, risucchiata e frullata nel calderone anarchico e ribollente del “tutto meno della insipida etero- sessualità”? Ed ecco che le coppie italiane risultano eterosessuali al 99,95 per cento, secondo il censimento. Forse la proporzione vera è attorno al 99 per cento. Inferiore no di certo. Perché se fosse inferiore, significherebbe che ci sono almeno 150 mila coppie omosessuali ufficialmente conviventi sotto lo stesso tetto (pari, appunto, a poco più dell’uno per cento dei 14 milioni di coppie), venti e passa volte quelle che non hanno avuto timore a dichiararsi tali. Una “foto” letteralmente in guerra con quelle dell’ufficialità gay. E invece i dati non si possono tirare più di tanto. Quelli ufficiali meno ancora. E non si può far finta che non ci siano. O che, essendoci, non significhino poi molto. Ci sono e significano. Non molto, di più.


martedì 9 settembre 2014

I MATRIMONI GAY SONO DAVVERO DI SINISTRA? Di Michele Gastaldo

Ospitiamo un intervento di Michele Gastaldo  
(consulente di direzione / consulente per la conciliazione lavoro famiglia) 
intorno alla proposta dei matrimoni  gay e alla sue implicazioni sociali e politiche

Il vero problema risiede nel cambiamento della definizione del concetto di matrimonio: se il matrimonio diventa per lo Stato il “luogo degli affetti”, che di per sé che non ha più nessun legame con la nascita della futura generazione, lo stesso Stato si alleggerisce di parte delle sue responsabilità verso le future generazioni e verso le giovani coppie che le hanno a carico. Ovviamente per lo Stato è meno oneroso essere “custode dell’amore” dei suoi cittadini piuttosto che essere custode delle future generazioni e garante della sostenibilità dello Stato Sociale a venire. Se con il “matrimonio per tutti” la reversibilità della pensione e gli altri trasferimenti economici sono giustificati unicamente dalla cura che i coniugi si prestano vicendevolmente e non più dagli oneri rivolti alla futura generazione, questi stessi trasferimenti perdono in buona parte, se non tutta, la loro legittimazione. 

La questione del matrimonio gay o delle unioni civili equiparate al matrimonio tra un uomo e una donna è considerata da una parte (consistente) della sinistra in una ottica di dovuta uguaglianza, perché a eguali condizioni spetterebbero uguali trattamenti. Infatti, l’uguaglianza sociale, insieme a quello della pace, è indubbiamente il valore fondamentale della sinistra. Ma il matrimonio gay, il matrimonio “omo” tra due uguali è davvero uguale al matrimonio tra un uomo e una donna, tra due diversi?
Per realizzare la giustizia e uguaglianza sociale il Welfare, in gran parte conquistato attraverso un secolo di lotte politiche della sinistra e vera sua ragione d’essere, gioca un ruolo primario. Principale caratteristica dello stato sociale è la sua mutualità e il suo carattere solidaristico, prevalentemente in chiave intergenerazionale: in sintesi significa che le generazioni attive pagano la pensione e la sanità alla generazione anziana. La sostenibilità dello stato sociale dipende quindi dall’equilibrio intergenerazionale, demografico. Come è noto, tale equilibrio, in quasi tutti gli stati industrializzati con un sistema di welfare sviluppato, negli ultimi decenni si è progressivamente eroso, mettendo a repentaglio l’intero nostro sistema sociale.

La natura di questo nostro sistema sociale prevede che il costo del mantenimento della generazione anziana gravi sull’intera popolazione attiva, mentre il costo della nuova generazione, cioè dei figli, sia prevalentemente a carico delle famiglie. (Delle famiglie con figli a carico, per intenderci, dato che il termine “famiglia” oggi è usato in modo molto esteso.) I benefici dei figli invece, ossia la loro capacità, di mantenere da adulti la vecchia generazione attraverso i contributi previdenziali e le tasse, vanno a tutti.
È chiaro che in tale situazione, regolata dai soli meccanismi di mercato, la famiglia con figli non è più “competitiva” rispetto a chi non ha figli; ciò né sul piano dei consumi né sul piano del mercato del lavoro. È questo il motivo per cui lo Stato fino a oggi ha cercato – almeno nelle dichiarazioni d’intento - di riservare un trattamento distinto alla famiglia basata sul matrimonio tra un uomo e una donna, cioè a quella formazione sociale in grado di procreare. In Italia tale intento trova riscontro negli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, sostenuti sia dalla sinistra comunista che riformista dell’epoca.  

Chi chiede l’equiparazione delle unioni omosessuali alla famiglia basata sul matrimonio tra un uomo e una donna lo motiva solitamente con il fatto che la società, negli ultimi quarant’anni, si sarebbe evoluta sul piano morale e dei costumi. Infatti oggi siamo molto più liberi nell’organizzare i nostri affetti secondo i nostri desideri. In realtà il riconoscimento della famiglia basata sul matrimonio, intesa come “società naturale” che precede quindi la politica e le istituzioni statali, non era e non è basato su fattori di morale sessuale, bensì su un criterio sociale. Ovvero il trattamento “privilegiato” della famiglia ha come primario obiettivo la tutela dei più deboli, dei bambini, e, in una prospettiva politico-economica di medio-lungo termine, la sostenibilità dei sistemi sociali sopra menzionati, che presuppongono un sostanziale equilibrio demografico tra le generazioni. In tale contesto va inoltre considerato che l’innalzamento del livello occupazionale femminile, che nei quattro decenni passati ha contribuito a compensare parzialmente gli effetti dello squilibrio demografico, rappresenta un provvedimento “una tantum” che oggi ha in larga misura esaurito il suo potenziale.