martedì 26 gennaio 2016

TESI CONTRO L'OMOGENITORIALITA'. Di G. Ricci

In sei punti, a partire da considerazioni che procedono dalla clinica psicanalitica, dal diritto e dall'antropologia,  G. Ricci, autore di Sessualità e politica. Viaggio nell'arcipelago gender (Sugarco), interviene a proposito del dibattito sull'omogenitorialità. 

 PARENTELA E GENEALOGIA. L’ipotesi di una famiglia omogenitoriale basata sul legame tra due individui dello stesso sesso, dove uno farebbe “da padre” e l’altro “da madre”, nega di fatto lo statuto di madre e di padre. E’ una negazione anatomica, biologica, culturale, antropologica, ma soprattutto simbolica. Tutto ciò non va senza conseguenze psichiche per il figlio o la figlia: vacilla la costruzione dell’identità sessuale, della differenza tra i sessi, del mito delle origini. Risulta scardinata la struttura della parentela, della genealogia, della filiazione, della trasmissione da una generazione all’altra: temi, quest'ultimi, che nell'attuale pseudo dibattito spariscono. 

L’IDENTITA’ DIFFERENTE. Da qualche anno, grazie alla visione gender, si parla sempre più di “funzione genitoriale” per giustificare l’idea che chiunque può esercitare una funzione genitoriale, quindi anche coppie gay o lesbiche. E’ importante ricordare, invece, che è un elemento psichico strutturale il fatto che i figli possano crescere “immersi” nel duplice riferimento maschile e femminile rappresentato da un padre e da una madre. La differenza del loro statuto costituisce la garanzia simbolica che il figlio potrà crescere affermando a sua volta la differenza della propria individualità soggettiva. Ciò è fondamentale. Se così non fosse, il figlio rischia una sorta di collassamento identitario, rischia di incarnare, replicandolo, il desiderio dei genitori.  L'attuale disagio giovanile è un'avvisaglia di questo collassamento e di un disorientamento identitario della società del benessere governata dal principio secondo cui "tutto è permesso". 

FILIAZIONE. Il concetto di filiazione, contrariamente a quello di riproduzione, è il dispositivo simbolico, sociale e individuale che presiede al progetto di fare un figlio.     La  modalità biotecnologica scompone il concetto di filiazione frammentando funzioni e statuti: nega la funzione paterna, svilisce il corpo della donna, riduce lo statuto materno a funzione riproduttiva. Un certo uso ideologico delle biotecnologie rischia di disintegrare l’edificio simbolico della filiazione. Quest’ultimo garantisce una permutazione dei posti simbolici (di padre in figlio) permettendo la possibilità che una società possa progettare il proprio futuro, cosa non del tutto evidente in questi tempi. Oggi vi sono coloro che, in nome del modernismo, pretendono che la maternità venga deistituzionalizzata e la filiazione rimpiazzata dal contratto. Costoro non si accorgono che sostengono il progetto biopolitico promosso dalle biotecnologie.
IL FIGLIO IN QUANTO TERZO. C’è un’evidenza inconfutabile che sembra sparire nel polverone dei dibattiti sui diritti gay: formalizzare o meno una relazione amorosa tra due individui adulti è un conto. Tutt’altra cosa quando entra in gioco il destino di un minore o di un nascituro, come nel caso dell’adozione omogenitoriale o della fecondazione eterologa.  Qui la faccenda compie logicamente un salto radicale perché è introdotto un terzo. Infatti ne va del destino di un essere vivente che è collocato in uno status simbolico e giuridico di serie A o di serie B. Dobbiamo chiederci: tutto ciò non è forse un atto che rischia di essere razzista? Il diritto non dovrebbe garantire uguaglianza e pari opportunità per ciascuno? Siamo dinanzi a un progetto eugenetico?
L’AMORE. Nel corso della formazione psichica di un individuo è fondante la storia familiare, la sua narrazione e la sua narrabilità: la vicenda dell’origine, il riferimento a una genealogia, la strutturazione di un’identità che affonda le radici nell’incontro tra un uomo e una donna. Nel caso di una coppia gay, che ha cercato di “avere” a tutti i costi un bambino, il tema dell’origine rimane ingarbugliata in una dissipazione simbolica in cui posti e funzioni risultano confusi. Pur di nascondere questa evidenza viene detto che se c’è amore c’è tutto. Love is Love, si dice. Niente di più demagogico. Il nodo è che l’amore, in qualunque caso, è una condizione indispensabile ma non sufficiente per istituire il figlio. Occorre ben altro. E poi: che cosa intendiamo per amore, parola lastricata da molti trabocchetti? Eros, agape, filia o che altro? 

LA SESSUAZIONE. Se viene meno la possibilità, per un bambino o per una bambina, di trovarsi in un processo di identificazione con il genitore dello stesso sesso, le conseguenze psichiche sono serie. Sarebbe compromesso il processo di sessuazione che è la via attraverso cui un soggetto, nel corso di quasi due decenni della sua vita, dalla nascita all’adolescenza, approda alla propria identità sessuale. Far crescere un bambino nell’omogenitorialità significa sottoporlo a un lavoro psichico immane rispetto all’acquisizione della sua identità sessuale e più in generale rispetto alla sua soggettività esposta facilmente a una deriva identitaria. I sostenitori dell'omogenitorialità in nome dell'amore non intendono la differenza tra bambino e figlio. Per loro basta l'amore.  

giovedì 14 gennaio 2016

SULL'ADOZIONE, SUL FIGLIO E I DIRITTI. Di Giancarlo Ricci

 Pubblichiamo la prima parte della voce adozione tratta dal libro di G. Ricci Sessualità e politica.Viaggio nell'arcipelago gender (Sugarco, 2016). 
Articolato in sessanta voci come in un dizionario, il libro ripercorre i temi essenziali che attraversano oggi la sessualità e la politica: la <<cosa sessuale>> e la <<cosa pubblica>>, l’individuo e la società, la libertà del soggetto e il <<bene comune>>, il privato e il pubblico.  
                                                                                           
Tre sono le modalità con cui una coppia sterile può <<ottenere>> un bambino: la via dell’adozione, della procreazione medicalmente assistita (PMA) e della fecondazione eterologa. Qui le questioni e la parole si complicano immediatamente. Come definire <<una coppia>>? E perché non parlare di un single ? Si tratterebbe di avere un bambino o di fare un figlio? In nome di quale amore? Siamo sicuri che stiamo parlando ancora di famiglia ? 


Ecco tutti nodi venire al pettine. In realtà due sono i pettini. Il primo pettine riguarda l’avere un Bambino che comunque rimane un desiderio di avere. In questo avere, il posto del Bambino rischia di essere quello delloggetto, delloggetto desiderato. Se poi è desiderato forsennatamente per colmare una mancanza, povero bambino. Il secondo pettine chiama in causa il dispositivo  simbolico della filiazione dove qualcuno, il Figlio, è chiamato a esistere e ad conquistare un posto nel mondo in quanto ha la facoltà di  soggettivizzare ciò che ha ricevuto (debito simbolico) e di trasmetterlo a modo suo.  
La distinzione, così netta, tra Bambino e Figlio ci permette subito di situare, nel complesso campo dell’adozione, due versanti: da una parte il desiderio degli adottanti, dall’altra il destino dell’adottato. In che modo desiderio e destino si stringono nello stesso nodo o si sciolgono separandosi? La loro dialettica implica una dimensione giuridica, etica, sociale, soggettiva. 


Il nostro tempo, trafficato da <<diritti insaziabili>>, predilige il punto di vista dei genitori e della loro volontà. Il sano concetto giuridico relativo alle <<condizioni di adottabilità>>, poste a protezione e a tutela del minore, passa ormai in secondo piano. Sembra svanita la condizione secondo cui il minore adottabile debba essere <<in stato di abbandono>>. In altri termini prevale un generico diritto all’adozione sul diritto dell’adottato, spesso relegato nella zona grigia di un destino sfortunato. Notiamo di sfuggita, a proposito dell’adozione ma ugualmente per alcune pratiche di fecondazione, che in nessun sistema giuridico è mai esistito, per una donna, il diritto di avere un figlio.

La <<coppia adottante>> giuridicamente deve corrispondere ad alcuni requisiti, anche psicologici. Il nodo infatti riguarda lo scenario psichico in cui il tema della maternità e della paternità prendono consistenza e determinazione. Qui le cose si complicano perché sullo sfondo sono spesso silenziosamente all’opera, da parte sia dell’uomo sia della donna, alcuni fantasmi inconsci che alcuni studiosi situano a livello transgenerazionale. Questi fantasmi chiamano in causa molti aspetti, sia sul versante biologico (sterilità) sia sul versante simbolico (infertilità). 
Il complesso istituto delladozione, in un certo senso, assicura il superamento di questo impossibile (biologico e/o simbolico). Questione quanto mai complessa  perché chiama in causa la relazione stessa tra un uomo e una donna. Il termine amore, spesso evocato dai media come protagonista indiscusso e univoco della vocazione adottiva, è intriso di altre questioni.  
Si tratterebbe ulteriormente di distinguere, tra i due componenti della coppia, come funziona il desiderio di adozione. Il desiderio di una donna ad avere a tutti i costi un Bambino può radicarsi in una sua questione psichica problematica. E ugualmente il desiderio di paternità per un uomo può risalire ad una sua vicenda antica, alla trasmissione del nome o a una particolare idea di <<immortalità>>. In entrambi i casi aleggia l’ombra della genealogia, della discendenza, della trasmissione.  

Sul lato del figlio adottato non si può minimizzare un elemento strutturale e cioè la non coincidenza tra la dimensione  <<biologica>> e quella <<simbolica>>. Il figlio adottato, in quanto accolto e dunque desiderato dai genitori, è un figlio <<simbolico>> ma non <<biologico>>; non c’è un legame <<di sangue>>. Lasciamo da parte la complessità di queste due dimensioni che assumono valenze culturali, sociali, giuridiche e antropologiche diversissime. 
La non sovrapposizione tra il <<biologico>> e il <<simbolico>>, da sempre questione infinita, pone di fatto per il figlio adottivo alcune tematiche psicologiche e psichiche di rilievo: il romanzo familiare delle proprie origini, il tema del rifiuto, il nodo della paternità e del nome, l’istanza dell’ascendenza e della discendenza (il da dove vengo). In particolare da parte del figlio adottivo rimarrà lo sforzo di intendere, nella storia in cui si è trovato a nascere, la natura dell’impossibilità dei propri genitori naturali ad essersi occupato di lui. Impossibilità, rifiuto o che altro?  Questa barratura così equivoca e ambivalente, oltretutto raccontata quasi sempre da altri, impegna il soggetto in un lavoro psichico impegnativo e difficile. In sintesi: per diventare Figlio dalla posizione di adottato, occorre un doppio giro. In un certo senso l’attraversamento di una doppia perdita e di un doppio lavoro del lutto. 

Altra implicazione: la questione del debito. Nell’adozione anche il debito simbolico, in un certo senso, si raddoppia, talvolta fino a diventare insopportabile. È facile che esso sia avvertito nei confronti dei genitori reali, gli adottanti. Spesso il debito è facile sia pensato come debito reale, ben lontano dall’assumere una valenza simbolica. In altri termini: il figlio adottato è ancor più spinto a confrontarsi con una restituzione ritenuta impossibile. Alcune volte questa impossibilità è paralizzante o labirintica. In termini clinici, la vicenda può assumere una portata drammatica dai contorni distruttivi. Un enunciato potrebbe essere: <<restituisco (dissipo, dilapido, azzero) il dono della vita per restituire il rifiuto che ho ricevuto>>.