martedì 15 luglio 2014

"CHIEDIMI SE VOGLIO VIVERE" O IL SUICIDIO DEGLI ADOLESCENTI. Di Emanuela Vinai


Pubblichiamo l'articolo di EMANUELA VINAI intorno al suicidio degli adolescenti. L'articolo fa parte dell'inserto dell'Avvenire 
NOI GENITORI E FIGLI, uscito il 5 luglio 2014.  

L’adolescenza, si sa, è un periodo difficile, “l’età ingrata” si diceva una volta e nel mondo di oggi troppo spesso è un momento segnato da solitudine, frustrazione, delusione. Ora l’allarme lo ha lanciato nientemeno che l’Organizzazione mondiale della sanità. Nel recente rapporto Health for the world’s adolescents, evidenzia come nei giovani di tutto il mondo, di età compresa tra i 10 e i 19 anni, il suicidio sia la terza causa di morte dopo incidenti stradali e Aids e la causa dominante di malattia e disabilità sia proprio la depressione. Solo nel 2012 sono stati circa 1,3 milioni di adolescenti a perdere la vita per queste ragioni. 
Questo dato angosciante che certifica la vulnerabilità dei giovani, non solo testimonia le difficoltà incontrate dal ragazzo/a durante il suo percorso di identificazione e di emancipazione, ma esprime anche un disagio dell’intera società. Gli adolescenti vivono in un mondo incapace di comunicare valori e significati esistenziali e di fornire gli strumenti necessari per il costituirsi di un senso d’identità solido e forte. Allo stesso tempo, il troppo interesse ed enfatizzazione mediatica può portare a fenomeni di emulazione.

Prestare troppa attenzione mediatica a casi di suicidio può risultare un boomerang e stimolare pericolosi comportamenti emulativi fra gli adolescenti. A dirlo è una ricerca dello State Psychiatric Institute di New York pubblicata sulla nuova rivista psichiatrica The Lancet Psychiatry. Lo chiarisce la dott.ssa Madelyn Gould, fra gli autori dell’analisi: “i nostri dati indicano che la copertura giornalistica e la quantità di dettagli pubblicati potrebbero influenzare il numero di suicidi portati a termine dagli adolescenti per imitare il primo”.
“L’adolescenza è un’età complessa in cui entrano in gioco diversi aspetti nodali della personalità perché è il momento in cui si struttura l’identità dell’individuo”, spiega Giancarlo Ricci, psicanalista e saggista. “Gli adolescenti attraversano una regione particolare, dove c’è molta solitudine, noia e dove le scelte importanti rimangono sospese e da elaborare. E’ una fase in cui prorompe il desiderio di vivere, ma c’è un’interrogazione radicale sul senso del vivere e rispetto agli enigmi che avvolgono l’uomo, come la morte”.
Dove si ‘perdono’ gli adolescenti? “Parlare di adolescenza e suicidio chiama in causa un certo modo di avvertire il disagio giovanile e certamente la nostra società non favorisce il tema del passaggio perché c’è una grande fragilità relativa alla dipendenza dagli altri, dalle aspettative dei genitori, dalla ricerca di sé. Nel mondo odierno il rischio è che tutto sia già pensato, pensabile e programmato, e dove il divertimento è un obbligo, i ragazzi cercano in tutti i modi di superare altri limiti anche con l’autodistruzione. Faticare a trovare un senso alla vita rende la morte affascinante”.
Qual è la responsabilità della società in questo?
“La società del benessere preferisce otturare o prevenire ogni desiderio, perché non sopporta che un giovane possa trovare una via autonoma per affermare le proprie aspirazioni. Dov’è la fatica, la gioia della conquista, se già viene dato tutto? Il suicidio degli adolescenti sembra una metafora di una società bulimica che non è in grado di trasmettere legami forti e autentici e fa collassare il desiderio”. 
Nel suo ultimo libro “Il padre dov’era”, lei analizza la sistematica delegittimazione della figura paterna e i danni che ne derivano.  “La progressiva desautorazione di ogni forma di autorità e l’esaltazione della libertà personale incondizionata determinano un’indifferenza di fondo in cui gli adolescenti non trovano punti di riferimento. Anzi, sono continuamente bombardati da messaggi che esaltano l’onnipotenza dell’uomo che può decidere cosa fare e come farlo e allora perché non poter decidere anche quando morire? Se tutto è possibile allora anche la morte è possibile e allora perché non sfidarla? La libertà senza responsabilità porta a conseguenze durissime”.
L’educazione da parte dei genitori non serve solo a fornire le regole di convivenza sociale, ma anche a supportare i figli con metodi di gestione emotiva e la capacità di saper affrontare le delusioni e i dolori. “Si fa sempre più fa fatica a rimproverare, per un malinteso tentativo di evitare ai giovani un senso di frustrazione, ma l’ascolto è e resta un punto fondamentale, nella famiglia e nella scuola. Un ascolto che pone dei punti fermi e, allo stesso tempo, non deve essere finalizzato a qualcosa di pedagogico quanto piuttosto a intercettare un disagio, una difficoltà nella costruzione dell’identità. Ascolto significa restituire ai giovani il loro modo di porsi rispetto a libertà e responsabilità”.