domenica 28 aprile 2013

ABUSI POSTMODERNI DEL SESSO di Giancarlo Ricci


Sesso, erotismo e amore, sono tre termini che Zygmunt Bauman nel suo libro GLI USI POSTMODERNI DEL SESSO (Il Mulino), distingue con grande rigore. Ma le implicazioni di tale separazione nelle società avanzate sono sorprendenti e aprono a nuove prospettive antropologiche. 
Il principio secondo cui tutto è possibile, anche in materia di erotismo, diventa una nuova merce, "la fame di esperienze sempre nuove". Il risultato è la creazione di "personalità multiple, flessibili, evanescenti". 
Proponiamo alcuni passi tratti dal libro. 


“La decostruzione postmoderna dell’immortalità - la tendenza a svincolare il presente dal passato e dal futuro - è accompagnata dal divorzio dell’erotismo dalla riproduzione sessuale e dall’amore. (...) L’erotismo postmoderno è libero di fluttuare e di innescare reazioni chimiche praticamente con ogni altra specie di sostanza, di alimentarsi ed estrarre la propria linfa da qualsiasi altra emozione o attività umana (...). Solo in questa versione emancipata e distaccata l’erotismo è in grado di veleggiare liberamente sotto il vessillo della ricerca del piacere, senza farsi sviare dai propri propositi o scoraggiare se non da considerazioni di ordine estetico, vale a dire orientate all’esperienza vissuta (...)”. 
Tatuaggi catalogati da Cesare Lombroso
“L’erotismo emancipato dai suoi vincoli riproduttivi e amorosi ben si presta a tutto ciò; è come se fosse fatto a misura delle identità multiple, flessibili, evanescenti dell’umanità posmoderna (...). L’aspetto sessuale dell’identità come tutti gli altri suoi aspetti, non è dato una volta per tutte, ma deve essere scelto e può essere scartato quando è ritenuto insoddisfacente o non abbastanza soddisfacente (...)". 

martedì 16 aprile 2013

BREVE STORIA DELLA DERUBRICAZIONE DELL'OMOSESSUALITA' di Giancarlo Ricci


Il dibattito intorno all'ultima versione del DSM
di imminente uscita in Italia, pone sia nel dibattito sociologico sia nell'ambito della clinica, una serie di questioni. 
Il recente numero della rivista di filosofia AUT AUT (n. 357, curato da Mario Colucci ed edito da Il Saggiatore) dal titolo "La diagnosi in psichiatria" apre una serie di considerazioni inquietanti.

La storica della psicanalisi  Elisabeth ROUDINESCO 
in La parte oscura di noi stessi 
(Angelo Colla Editore, Vicenza 2008) afferma: 
"Il DSM in quanto classificazione perversa della perversione, dei perversi e delle perversioni sessuali per certi versi realizza in forma mortifera il grande progetto di una società sadiana: abolizione delle differenze, riduzione dei soggetti a oggetti posti sotto sorveglianza, supremazia di un’ideologia disciplinare su un’etica della libertà”. 

                                                                                 
La vicenda della derubricazione della omosessualità dal DSM è esemplare. Mostra come talvolta il discorso scientifico ceda le armi alla convenienza ideologica. Diversi   termini sono stati tolti o rimaneggiati in quanto, principalmente, ritenuti eccessivamente stigmatizzanti, come è accaduto a diverse altre definizioni come quella di perversione (diventata parafilia) o alcolismo.  Nel 1973 la maggiore associazione psichiatrica americana, l’APA (American Psychiatric Association), derubrica  la voce omosessualità dal DSM lasciando tuttavia l’espressione “omosessualità  egodistonica”.
          Sulla scia di questa decisione, anche l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la cancella dal suo manuale diagnostico ICD (International Classification of Disease) dove tuttavia nel 1991, rimaneggiando la formulazione, lascia la definizione di un disagio -  classificato come F66.1 - relativo a “un persistente disturbo rispetto al proprio orientamento sessuale percepito come indesiderato” e “suscettibile di trattamento quando richiesto dal soggetto”. La decisione di derubricare l’omosessualità dal DSM non è stato il frutto di un dibattito scientifico, ma di una operazione ideologica. In quegli anni gli attivisti gay organizzavano accese manifestazioni in occasioni delle riunioni della Commissione Nomenclatura dell’APA, chiedendo e ottenendo di partecipare agli incontri.
         Da quel momento il dibattito scientifico fu sospeso e sostituito da discussioni di carattere politico ed ideologico che sfociarono nel 1973 nella decisione di mettere ai voti la questione tramite appositi questionari. Nell’aprile del 1973 votarono 10.091 membri su 17.029 aventi diritto; più di 400 votarono scheda bianca. 3810 votarono contro la decisione della commissione, 5854 membri votarono invece a favore. Dunque la derubricazione passa con 5854 voti a favore e 3810 contro.

giovedì 11 aprile 2013

IL PADRE TRA LIBERTA' E DONO


Il libro  IL PADRE. LIBERTA' - DONO 
di CLAUDIO RISE' (Edizioni Ares) ripropone il tema del padre nella sua imprescindibile istanza simbolica. Pubblichiamo qualche passo dalla sua Premessa 
(cfr. intervista su "Tempi") 
http://www.tempi.it/rise-mancano-i-padri-che-ci-mostrino-il-senso-e-la-strada-ma-dalle-nostre-ferite-possono-rinascere#.UWbB-3DqMfl 
e qualche passo della Prefazione di Pietro Barcellona
http://www.ares.mi.it/index.php?pagina=primo_piano&e=774


Il diritto non lo produce il «padre», ma il legislatore, che come vedremo in questo libro non ha attualmente per lui nessuna simpatia. È quindi ora di sfilare il padre dalla pesante responsabilità del diritto della modernità, prodotto da Stati e sistemi nazionali e internazionali fortemente burocratici e quindi ostili a un’autentica libertà personale. Il padre non è certo il nume tutelare della riproduzione umana in laboratorio
L’altra visione, quella di una paternità profonda, iscritta nella psiche di uomini e donne, e autonoma dalla figura del padre biologico (che tuttavia può vantaggiosamente ispirarvisi), vede invece il Padre come operatore di libertà. Egli è inoltre testimone di un «altrove» (uno spazio psicologico diverso da quello dell’immediatezza), dove si trovano le sorgenti della vita, della forza paterna e anche quelle necessarie allo sviluppo del figlio.
Questa libertà donata dal Padre transpersonale e archetipo attiva energie e direzioni non necessariamente coincidenti con il pur importante campo biologico e il padre naturale che lo rappresenta. In questo altro senso il Padre è per l’individuo una risorsa personale di carattere simbolico cui egli istintivamente si rivolge, innanzitutto con il pensiero e il sentimento, quando la sua libertà è in pericolo. Egli percepisce allora la necessità di entrare in contatto con un diverso spazio psicologico, spirituale, simbolico e affettivo che lo metta al riparo delle insidie, anche psichiche e spirituali, che avverte sul piano della realtà immediata. Dalla quale dunque desidera prendere distanza.
Dalla Prefazione di Pietro Barcellona:
      Condivido questo abbozzo di analisi delle patologie individuali e collettive della gioventù contemporanea ma sono convinto che tra i fattori che ne stanno determinando i processi non ci sia soltanto l’attacco alla figura paterna, ma anche alla stessa idea di coppia umana. La sensazione che ho esposto in altri scritti miei è che i giovani oggi abitano una terra di nessuno dove non ci sono più leggi né principi perché è venuta meno la riferibilità dei comportamenti a modelli normativi umani maschili e femminili che possono strutturare processi di trasformazione oltre il puro stadio pulsionale.

mercoledì 3 aprile 2013

L'OMOSESSUALITA': MALATTIA O NON MALATTIA? di Giancarlo Ricci


Malattia o non malattia? Il dilemma infuria.
Tratti dal libro IL PADRE DOV'ERA di Giancarlo Ricci, pubblichiamo alcuni brani che vogliono aprire un 
dibattito spesso considerato troppo scomodo.   

Accennare all’omosessualità come sintomo suscita l’immediata riprovazione perché subito l’interlocutore si precipita a concludere: allora l’omosessualità viene considerata una malattia! Come volevasi dimostrare. Se viene considerata malattia ecco subito partire l’accusa di omofobia. Nulla di più demagogico in questa specie di sillogismo, perché il concetto di sintomo - non smetteremo di ripeterlo - non corrisponde a quello di malattia. 



Malattia o non malattia? I distinguo imperversano, a volte perversamente, proprio per creare quella confusione in cui tutto è vero e tutto è falso al tempo stesso. Sono frasi che sentiamo quotidianamente: l’omosessualità non è una malattia; forse è un disturbo; no, un disordine; si tratta solo di un orientamento; non si può curare perché si nasce omosessuali; chi vorrebbe curarla commette un abuso; poi perché bisogna curarli?; forse è curabile solo quella egodistonica; quella egosintonica perché curarla?; perché costringere qualcuno a diventare eterosessuale? Ciascuna di queste frasi contiene in sé un teorema, contiene cioè già i termini che prevedono, per la logica che sottendono, una particolare risposta e non altre.