Il dibattito intorno all'ultima versione del DSM,
di imminente uscita in Italia, pone sia nel dibattito sociologico sia nell'ambito della clinica, una serie di questioni.
Il recente numero della rivista di filosofia AUT AUT (n. 357, curato da Mario Colucci ed edito da Il Saggiatore) dal titolo "La diagnosi in psichiatria" apre una serie di considerazioni inquietanti.
di imminente uscita in Italia, pone sia nel dibattito sociologico sia nell'ambito della clinica, una serie di questioni.
Il recente numero della rivista di filosofia AUT AUT (n. 357, curato da Mario Colucci ed edito da Il Saggiatore) dal titolo "La diagnosi in psichiatria" apre una serie di considerazioni inquietanti.
La storica della psicanalisi Elisabeth ROUDINESCO
in La parte oscura di noi stessi
(Angelo Colla Editore, Vicenza 2008) afferma:
in La parte oscura di noi stessi
(Angelo Colla Editore, Vicenza 2008) afferma:
"Il DSM in quanto classificazione perversa della perversione, dei perversi e delle perversioni sessuali per certi versi realizza in forma mortifera il grande progetto di una società sadiana: abolizione delle differenze, riduzione dei soggetti a oggetti posti sotto sorveglianza, supremazia di un’ideologia disciplinare su un’etica della libertà”.
La vicenda della derubricazione della omosessualità dal DSM è esemplare. Mostra come talvolta il discorso scientifico ceda le armi alla convenienza ideologica. Diversi termini sono stati tolti o rimaneggiati in quanto, principalmente, ritenuti eccessivamente stigmatizzanti, come è accaduto a diverse altre definizioni come quella di perversione (diventata parafilia) o alcolismo. Nel 1973 la maggiore associazione psichiatrica americana, l’APA (American Psychiatric Association), derubrica la voce omosessualità dal DSM lasciando tuttavia l’espressione “omosessualità egodistonica”.
Sulla scia di questa decisione, anche l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la cancella dal suo manuale diagnostico ICD (International Classification of Disease) dove tuttavia nel 1991, rimaneggiando la formulazione, lascia la definizione di un disagio - classificato come F66.1 - relativo a “un persistente disturbo rispetto al proprio orientamento sessuale percepito come indesiderato” e “suscettibile di trattamento quando richiesto dal soggetto”. La decisione di derubricare l’omosessualità dal DSM non è stato il frutto di un dibattito scientifico, ma di una operazione ideologica. In quegli anni gli attivisti gay organizzavano accese manifestazioni in occasioni delle riunioni della Commissione Nomenclatura dell’APA, chiedendo e ottenendo di partecipare agli incontri.
Da quel momento il dibattito scientifico fu sospeso e sostituito da discussioni di carattere politico ed ideologico che sfociarono nel 1973 nella decisione di mettere ai voti la questione tramite appositi questionari. Nell’aprile del 1973 votarono 10.091 membri su 17.029 aventi diritto; più di 400 votarono scheda bianca. 3810 votarono contro la decisione della commissione, 5854 membri votarono invece a favore. Dunque la derubricazione passa con 5854 voti a favore e 3810 contro.
Nel DSM IV rimase la voce “omosessualità egodistonica” che fu riformulata in una succesiva revisione attuata nel 1987. Il riferimento all’omosessualità egodistonica, nonostante affermazioni contrarie, è tuttora presente nel DSM sebbene formulata in modo debole. Si tratta della sigla classificata come 302.9 e definita come “disturbo sessuale non altrimenti specificato”. Negli esempi riportati in questa voce il terzo esempio recita: “Persistente e intenso disagio riguardo all’orientamento sessuale”.
Le affermazioni di coloro che sostengono trionfalmente che l’omosessualità, in base a criteri “scientifici” sanciti dal DSM, non è più considerata una malattia, risultano dunque non veritiere. Il “disturbo” relativo all’orientamento sessuale è rimasto, anche se con la giusta premessa, esplicitata dal ICD-X secondo cui “l’orientamento sessuale in sé non deve essere considerato un disturbo”.
“Concetti come psicosi, nevrosi, perversione - afferma la storica Roudinesco - furono sostituiti dalla nozione debole di ‘disturbo’ (disorder) e le entità cliniche vennero abbandonate a beneficio di una caratterizzazione sintomatica di questi famosi disturbi. [...] Nel tentativo di evitare ogni controversia, le successive versioni del DSM finirono per abolire l’idea stessa di malattia. [...] Preoccupati anche di preservare le diversità culturali, gli autori del DSM si posero il problema di sapere se le condotte politiche, religiose o sessuali cosiddette ‘devianti’ dovessero essere o meno assimilate a disturbi del comportamento. Ne trassero una conclusione negativa ”.
In definitiva, al di là delle parziali derubricazioni o delle differenti formulazioni operate nel corso dei decenni dalle commissioni del DSM e del ICD, rimane la constatazione secondo cui la “questione omosessuale” è stata, di fatto, sempre più sottratta alla riflessione e all’elaborazione clinica per essere situata eminentemente come una questione sociale.
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