mercoledì 29 maggio 2013

UNA NUOVA E CRESCENTE MALINCONIA OMOSESSUALE


Pubblichiamo l’articolo dello scrittore Antonio ScuratiLa crescente malinconia omosessuale” uscito su “La Stampa” del 28.5.13.
Dalla premiazione al Festival di Cannes del film che racconta la storia di un amore lesbico al gesto suicida dello storico Dominique Venner in Notre Dame a Parigi: “Ci ritroviamo tutti - osserva Antonio Scurati - qualunque siano le nostre idee e i nostri sessi, nel chiaroscurale travaglio culturale 
attraverso il quale l'essere umano genera se stesso 
in una storia aperta al rischio e al fallimento”

"Vivere liberamente, esprimersi liberamente, amare liberamente”. Lo ha proclamato Abdile Kechiche dal palco del Festival di Cannes ricevendo la Palma d'oro per «La vie d'Adèle», storia di amore lesbico tenero e appassionato tra due giovani donne. Mentre in Costa Azzurra si celebrano i fasti cinematografici dell'amore lesbico in scintillanti serate a inviti, a Parigi, centinaia di migliaia di persone affollano la Spianata degli Invalidi per protestare contro la legge che elimina ogni riferimento all'identità sessuale dal codice civile, e con esso il concetto di padre e di madre. Tutti «invalidi» mentali e sentimentali questi angosciati oppositori del libro amore? 
Abbiamo, dunque, da un lato i seguaci dello scrittore Dominique Venner, il vecchio kamikaze d'Occidente feroce e delirante che, vestito di tutto punto, si spara un colpo al cuore sull'altare di Notre Dame per protestare con la propria morte contro i matrimoni gay e, dall'altra parte, le fanciulle in fiore che si amano liberamente sulla croisette di Cannes esaltate nello splendore giovanile dei loro corpi nudi dal regista franco-tunisino emancipatesi dall'oscurantismo islamico per convertirsi al radioso progressismo occidentale? Temo di no, temo che sarebbe un errore abbandonarsi alla consolante contrapposizione tra vecchi e giovani, progressisti e reazionari, liberi (buoni) e cattivi (da captivus, che è fatto prigioniero in guerra e vive in servitù). Posto in questi termini, il trionfo cinematografico dell'amore lesbico rischia di essere l'ennesimo lavacro per la falsa coscienza di un Occidente decadente votato a un progressismo di facciata. 
Disegno di Francesca Magro, 2009
Questa pregiudizievole contrapposizione tra liberi e cattivi si prolunga, nel dibattito giornalistico, in quella tra natura e cultura. Da un lato ci sarebbero i retrivi, ottusi sostenitori dell'idea che i ruoli sessuali si fonderebbero su una fantomatica «natura umana» e dall'altro gli alfieri della illuminata consapevolezza riguardo al fatto che i generi sessuali sono frutto di processi culturali. Se, però, abbandoniamo questa versione caricaturale, ci ritroviamo tutti, qualunque siano le nostre idee e i nostri sessi, nel chiaroscurale travaglio culturale attraverso il quale l'essere umano genera se stesso in una storia aperta al rischio e al fallimento. 
Sono le teorie femministe e lesbiche più evolute a contestare l'illusione di una stabile identità di genere e a proporre una concezione performativa dell'identità sessuale come risultato, sempre precario e mutevole, di pratiche diverse, negoziazioni sociali, risignificazioni costanti. Così come non si nasce maschi eterosessuali, non si nasce nemmeno femmine omosessuali. Il lesbismo non è né una condanna né un'elezione, non è un destino insomma ma una storia aperta e, al tempo stesso angusta, come quella di noi tutti, una storia che dipenderà in buona parte da come la si racconta. Proprio per questo motivo sospetto che si tradisca quella storia se si racconta come una eroica vicenda di liberazione di identità negate e diritti conculcati e non, invece, più fedelmente, come faticosa costruzione di sé attraverso prove, errori e delusioni multiple. Non nego che in alcuni casi sia una scelta precoce, ma guardiamoci attorno nelle nostre metropoli d'Occidente e non vedremo in prevalenza magnifiche fanciulle in fiore che innalzano inni erotici negli abbracci dei loro corpi in amore ma donne pros sime alla quarantina che optano per il lesbismo come ripiego rispetto alle delusioni della vita (spesso una vita coniugale e famigliare). Valicata la dorsale dei trenta anni, quando il maschilismo giovanilista e sessista che permea la nostra società le taglia fuori dal carnevale, riparano in un secondo gineceo, un limbo post-maschile che le fa respirare di sollievo. In tutti questi casi, che sono tanti anche se non sono certo tutti, si fatica a non leggere l'attuale diffusione sociale del lesbismo come capitolo della storia dell'individualismo, del suo spaesamento, della sua sfrenatezza, della sua malinconia. In questo specchio irrimediabilmente opaco più che l'immagine della vita come opera d'arte si riflette quella della vita come gita al mare in uno sfortunato giorno di pioggia. Abbiamo collettivamente sposato il paradigma di un'identità personale quale esito di una inesausta autonarrazione, di un interminabile gioco identitario incentrato sulla cura di sé e sull'uso dei piaceri. Inevitabile che, a lungo andare, in questo gioco prevalga l'uso dei dispiaceri. 
Non esiste solo la «malinconia eterosessuale» di freudiana memoria, c'è anche una nuova, crescente «malinconia omosessuale». Se, finita la festa, guarderemo a entrambe con animo equanime, potremmo forse trovare una fratellanza da qualche parte in quest'avventura. O una sorellanza, fa lo stesso.

ANTONIO SCURATI su LA STAMPA

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