sabato 1 aprile 2017

UTERO ARTIFICIALE. Di Luciana Piddiu


La rimozione della figura materna dalla scena del concepimento e della generazione ha fatto capolino nella storia a partire dalla fine degli anni settanta. Ma nell’immaginario la cancellazione della madre è fatto molto più antico. Dobbiamo risalire agli antichi greci, al patrimonio di miti e leggende che ci hanno consegnato in eredità per trovare tracce consistenti di questa fantasia.


Oreste, perseguitato dalle Erinni per il matricidio di Clitennestra  è sottoposto al giudizio inappellabile dei giudici dell’Areopago. La sentenza assolverà Oreste dalla colpa di aver ucciso sua madre grazie alla testimonianza di Atena: non è grave il matricidio - sostiene la dea - poiché la madre è puro contenitore, semplice vaso ininfluente nella vicenda generativa, la vita viene dal padre, dal suo seme. La prova?  Il suo essere nata dalla testa del padre Zeus. 
Questo fantasma o fantasia dell’insignificanza della madre che si aggira nella mente di diversi uomini da diverso tempo oggi ha trovato la sua incarnazione grazie alle moderne tecniche di fecondazione e alla pratica di affitto degli uteri di donne più o meno consapevoli. 
  Faticosamente ma con determinazione cerchiamo il modo per bandire a livello internazionale questa modalità per varie ragioni : poiché rende le donne puri utensili di riproduzione, scisse dal bambino/a che cresce nel loro ventre e si alimenta materialmente e psichicamente del loro corpo fecondo;  poiché rende il bambino zattera senza ancoraggio a quel corpo che per nove lunghi mesi lo ha nutrito; poiché aliena la donna da se stessa separando l’unità indissolubile del suo corpo-mente e strappa con violenza il bambino dalla sua storia genealogica. Ma ecco che gli apprendisti stregoni delle nuove tecnologie riproduttive sono all’opera per superare questo inciampo che rende ancora necessaria la donna per la generazione di nuovi nati.
Leggo infatti su La Stampa  di domenica 26 Marzo   (“Mamme  ultracinquantenni, uteri artificiali, genoma sintetico”) che siamo a buon punto per la messa a regime di un utero artificiale e per la produzione di genoma umano totalmente costruito in laboratorio: che bella novità ! avremo finalmente esseri umani che nascono senza avere né madre, né padre. Come si sono creati pomodori che non marciscono (cito testualmente) cosi avremo esseri umani geneticamente modificati.  Che progressi ci fa fare la scienza applicata !
Si realizza cosi un’altra grande aspirazione caratteristica della modernità: l’autopoiesi, una sorta di inveramento del sogno infantile d’onnipotenza quando non si sapeva ancora che  non tutto ci sarebbe stato concesso e che prima o poi eravamo destinati a morire. Il farsi da sé, come un qualunque prodotto replicabile, scevro da qualunque imperfezione e perfettamente in linea con la mente che lo ha progettato, ci libera dall’obbligo della gratitudine verso chi ci ha dato la vita, dall’obbligo di quel comandamento che dice “onora il padre e la madre”, colloca i tuoi genitori nel posto che loro compete nella storia genealogica della tua famiglia, da’ loro il giusto peso in modo che tu sappia sempre che la vita esisteva prima di te e ci sarà anche dopo di te. Tu sei solo un passo in quell’alternarsi di generazioni ed è per questo che non devi montarti la testa: non hai alcun merito nel tuo essere venuto al mondo. Abbi rispetto per la vita, abbine cura, della tua e di quella degli altri.


Come siamo distanti da quella meravigliosa rappresentazione di Maria giovinetta ritratta magistralmente da Giotto nella cappella degli Scrovegni. Ha appena saputo dall’arcangelo Gabriele che è destinata a portare nel suo grembo Gesu’.

      A me che non sono credente piace pensare che lo stupore di Maria e la disponibilità a portare nel suo grembo una nuova vita, senza sapere come ciò sia potuto accadere, sia espressione di una pienezza di vita che l’umanità rischia di perdere se già non l’ha persa. Maria che dice si, e per questo viene nominata  “piena di grazia” sembra custodire una profonda verità: siamo solo un anello, un passaggio nella catena delle generazioni. Non possiamo pretendere l’assoluto, credere di essere l’alfa e l’omega di ogni processo vitale. Sembra proprio che la tragedia di Faust non ci abbia insegnato niente. La lacerazione nel percorso del divenire umani può davvero diventare irreparabile se si continua a percorrere questa strada.
Ferney Voltaire , 29 Marzo 2017