domenica 25 agosto 2013

REGOLARE LE CONVINZIONI MORALI E' UN VIZIO

Di Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera
riportiamo alcuni passi del suo articolo 
"Regolare le convinzioni morali è un vizio" (Corriere, 10.8.13). 
L'articolo si può leggere interamente a:

Precedentemente era intervenuto, con lucidità e passione civile, definendo inutile la legge contro l'omofobia (Corriere, 3.8.13)


Stabilire per legge ciò che è «politicamente corretto» e ciò che non lo è, significa teorizzare e codificare il reato di opinione. È quello che ho cercato di spiegare nell'articolo in cui ho definito inutile la legge contro l'omofobia [Corriere, 3.8.13]. Pare, però, abbia sollevato la critica dei soliti «laici, democratici, antifascisti» in servizio permanente ed effettivo; che sono, poi, col fascismo storico - detto ironicamente, ma perspicuamente - l'altra forma di fascismo instauratasi dopo la caduta del primo e a seguito di una malintesa idea di democrazia [...]. 


 Ho scritto che, per me, picchiare qualcuno è un reato. Punto e basta. Per i promotori del progetto di legge contro l'omofobia, picchiare un omosessuale è, invece, un'aggravante perché rivela un'«intenzione omofobica». Mi rendo conto che sarebbe pretendere troppo che certi nostri parlamentari conoscano la crociana «distinzione» fra Etica e Politica e fra Etica e Diritto. Ma se, almeno, capissero che l'«intenzione omofobica» è un'opzione morale, che riguarda la soggettività delle coscienze, e picchiare qualcuno è un reato che riguarda, oggettivamente, il Diritto e che, confondendo l'una con l'altro, ci sia avvia su una china pericolosa, non mi parrebbe chiedere troppo da parte loro. Così, insisto.

L'«avversione per l'omosessualità» - ciò che chiamiamo omofobia - è un'opinione eticamente sbagliata e moralmente censurabile, ma non è un reato. Giuridicizzarla significa confondere Etica e Diritto e creare le condizioni del reato d'opinione. Una volta approvata la proposta di legge contro l'omofobia, salterebbe fuori, prima o poi, qualche Procuratore della repubblica troppo zelante che si sentirebbe in dovere di «raddrizzare il legno storto dell'umanità» incriminando per omofobia chi dicesse che non si farebbe mai vedere in giro con un omosessuale.


Una opinione stupida, ma pur sempre, e solo, un'opinione. Se, inoltre, ciò comportasse anche il rischio di incriminazione dei credenti di religioni per i quali l'omosessualità è «un vizio», è una pratica «contro natura», saremmo nello Stato teocratico che assimila il peccato al reato. Sparirebbe la separazione fra Chiesa e Stato.
L'eccessiva regolamentazione dei comportamenti sociali, per non dire delle convinzioni morali, non è una virtù della democrazia, bensì è il vizio di ogni totalitarismo e di ogni autoritarismo. 

sabato 24 agosto 2013

OMOSESSUALITA': E' UN DATO NATURALE?


Pubblichiamo alcuni passi della recensione 
a cura di Armando Ermini sul libro di Giancarlo Ricci IL PADRE DOV’ERA. 
Le omosessualità nella psicanalisi (Sugarco). 
La recensione, uscita nel maggio 2013, è leggibile sul blog:
 http://maschiselvaticiblog.wordpress.com/2013/05/31/il-padre-dovera-2/



I concetti cardine intorno ai quali si sviluppa questo lavoro di Giancarlo Ricci, psicanalista di scuola lacaniania, possono essere così sinteticamente definiti: 
  • L’omosessualità non è una malattia organica da guarire in senso “sanitario, medicalistico, oggettivabile”.  La guarigione, perciò, consiste in un percorso durante il quale il paziente che manifesta un disagio, è chiamato a scoprire il significato e il senso del sintomo. È quindi un concetto aperto, che potrà significare tanto la permanenza nella propria situazione quanto l’uscita da essa. 
  • Compito dell’analista è accompagnare il paziente in questo percorso di cura di sé, senza forzarlo o indirizzarlo secondo le proprie convinzioni. Il contrario, dunque, di un approccio ideologico che voglia per forza far uscire il soggetto dalla condizione omosessuale o che, all’opposto, si ponga l’obbiettivo di fargliela accettare come un dato naturale. Quest’ultimo è ormai l’approccio prevalente in Occidente, per il quale non esistono differenze fra omosessualità ed eterosessualità, e dunque il disagio sarebbe solo frutto di condizionamenti culturali (...).
  • Non esiste l’omosessualità come categoria onnicomprensiva, ma molti tipi di omosessualità, in un certo senso tante quante le persone omosessuali, le cui vicende personali sono irriducibili l’una all’altra. 
  • Rimane tuttavia il fatto innegabile che  “ciascun soggetto nasce dallo statuto imprescindibile di figlio che implica l’esistenza di una madre e di un padre”. È quindi nello scenario familiare, nell’assenza fisica o psichica di uno o entrambi i genitori, o nella loro iperpresenza che schiaccia, che si svolge il processo di sessuazione o acquisizione dell’identità sessuale (...). 
  • È un fatto constatabile anche empiricamente che la diffusione dell’omosessualità  e della confusione fra i generi in Occidente è parallela al declino del codice paterno.  L’ideologia del Gender  “fa fuori il  padre, lo espunge”, spesso con la complicità degli stessi padri che, fuggendo da se stessi, rinunciano a rompere il legame simbiotico madre/figlio  con ciò confermando la propria irrilevanza. 
  • Il fenomeno, naturalmente, non è senza effetti anche sul piano sociale. Il padre è colui che pone un limite al godimento e norma le sue declinazioni, e quindi la sua “evaporazione”  è direttamente funzionale alla moderna società dei consumi che proprio sulla pretesa di un godimento illimitato si fonda. Esiste però un equivoco da chiarire. Contrariamente alla vulgata ormai prevalente, alimentata dai movimenti femministi (e da coloro che ad essi non hanno il coraggio di opporsi), il limite paterno non è semplicemente interdizione e controllo del desiderio e del godimento. (...).  Fin qui Ricci.