Pubblichiamo la prima parte della voce adozione tratta dal libro di G. Ricci Sessualità e politica.Viaggio nell'arcipelago gender (Sugarco, 2016).
Articolato in sessanta voci come in un dizionario, il libro ripercorre i temi essenziali che attraversano oggi la sessualità e la politica: la <<cosa sessuale>> e la <<cosa pubblica>>, l’individuo e la società, la libertà del soggetto e il <<bene comune>>, il privato e il pubblico.
Articolato in sessanta voci come in un dizionario, il libro ripercorre i temi essenziali che attraversano oggi la sessualità e la politica: la <<cosa sessuale>> e la <<cosa pubblica>>, l’individuo e la società, la libertà del soggetto e il <<bene comune>>, il privato e il pubblico.
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Tre sono le modalità con cui una coppia sterile può <<ottenere>> un bambino: la via dell’adozione, della procreazione medicalmente assistita (PMA) e della fecondazione eterologa. Qui le questioni e la parole si complicano immediatamente. Come definire <<una coppia>>? E perché non parlare di un single ? Si tratterebbe di avere un bambino o di fare un figlio? In nome di quale amore? Siamo sicuri che stiamo parlando ancora di famiglia ?
Ecco tutti nodi venire al pettine. In realtà due sono i pettini. Il primo pettine riguarda l’avere un Bambino che comunque rimane un desiderio di avere. In questo avere, il posto del Bambino rischia di essere quello dell’oggetto, dell’oggetto desiderato. Se poi è desiderato forsennatamente per colmare una mancanza, povero bambino. Il secondo pettine chiama in causa il dispositivo simbolico della filiazione dove qualcuno, il Figlio, è chiamato a esistere e ad conquistare un posto nel mondo in quanto ha la facoltà di soggettivizzare ciò che ha ricevuto (debito simbolico) e di trasmetterlo a modo suo.
La distinzione, così netta, tra Bambino e Figlio ci permette subito di situare, nel complesso campo dell’adozione, due versanti: da una parte il desiderio degli adottanti, dall’altra il destino dell’adottato. In che modo desiderio e destino si stringono nello stesso nodo o si sciolgono separandosi? La loro dialettica implica una dimensione giuridica, etica, sociale, soggettiva.
Il nostro tempo, trafficato da <<diritti insaziabili>>, predilige il punto di vista dei genitori e della loro volontà. Il sano concetto giuridico relativo alle <<condizioni di adottabilità>>, poste a protezione e a tutela del minore, passa ormai in secondo piano. Sembra svanita la condizione secondo cui il minore adottabile debba essere <<in stato di abbandono>>. In altri termini prevale un generico diritto all’adozione sul diritto dell’adottato, spesso relegato nella zona grigia di un destino sfortunato. Notiamo di sfuggita, a proposito dell’adozione ma ugualmente per alcune pratiche di fecondazione, che in nessun sistema giuridico è mai esistito, per una donna, il diritto di avere un figlio.
La <<coppia adottante>> giuridicamente deve corrispondere ad alcuni requisiti, anche psicologici. Il nodo infatti riguarda lo scenario psichico in cui il tema della maternità e della paternità prendono consistenza e determinazione. Qui le cose si complicano perché sullo sfondo sono spesso silenziosamente all’opera, da parte sia dell’uomo sia della donna, alcuni fantasmi inconsci che alcuni studiosi situano a livello transgenerazionale. Questi fantasmi chiamano in causa molti aspetti, sia sul versante biologico (sterilità) sia sul versante simbolico (infertilità).
Il complesso istituto dell’adozione, in un certo senso, assicura il superamento di questo impossibile (biologico e/o simbolico). Questione quanto mai complessa perché chiama in causa la relazione stessa tra un uomo e una donna. Il termine amore, spesso evocato dai media come protagonista indiscusso e univoco della vocazione adottiva, è intriso di altre questioni.
Si tratterebbe ulteriormente di distinguere, tra i due componenti della coppia, come funziona il desiderio di adozione. Il desiderio di una donna ad avere a tutti i costi un Bambino può radicarsi in una sua questione psichica problematica. E ugualmente il desiderio di paternità per un uomo può risalire ad una sua vicenda antica, alla trasmissione del nome o a una particolare idea di <<immortalità>>. In entrambi i casi aleggia l’ombra della genealogia, della discendenza, della trasmissione.
Sul lato del figlio adottato non si può minimizzare un elemento strutturale e cioè la non coincidenza tra la dimensione <<biologica>> e quella <<simbolica>>. Il figlio adottato, in quanto accolto e dunque desiderato dai genitori, è un figlio <<simbolico>> ma non <<biologico>>; non c’è un legame <<di sangue>>. Lasciamo da parte la complessità di queste due dimensioni che assumono valenze culturali, sociali, giuridiche e antropologiche diversissime.
La non sovrapposizione tra il <<biologico>> e il <<simbolico>>, da sempre questione infinita, pone di fatto per il figlio adottivo alcune tematiche psicologiche e psichiche di rilievo: il romanzo familiare delle proprie origini, il tema del rifiuto, il nodo della paternità e del nome, l’istanza dell’ascendenza e della discendenza (il da dove vengo). In particolare da parte del figlio adottivo rimarrà lo sforzo di intendere, nella storia in cui si è trovato a nascere, la natura dell’impossibilità dei propri genitori naturali ad essersi occupato di lui. Impossibilità, rifiuto o che altro? Questa barratura così equivoca e ambivalente, oltretutto raccontata quasi sempre da altri, impegna il soggetto in un lavoro psichico impegnativo e difficile. In sintesi: per diventare Figlio dalla posizione di adottato, occorre un doppio giro. In un certo senso l’attraversamento di una doppia perdita e di un doppio lavoro del lutto.
Altra implicazione: la questione del debito. Nell’adozione anche il debito simbolico, in un certo senso, si raddoppia, talvolta fino a diventare insopportabile. È facile che esso sia avvertito nei confronti dei genitori reali, gli adottanti. Spesso il debito è facile sia pensato come debito reale, ben lontano dall’assumere una valenza simbolica. In altri termini: il figlio adottato è ancor più spinto a confrontarsi con una restituzione ritenuta impossibile. Alcune volte questa impossibilità è paralizzante o labirintica. In termini clinici, la vicenda può assumere una portata drammatica dai contorni distruttivi. Un enunciato potrebbe essere: <<restituisco (dissipo, dilapido, azzero) il dono della vita per restituire il rifiuto che ho ricevuto>>.
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