mercoledì 15 aprile 2015

LE LOBBY GAY IN AMERICA. Di Davide Casati

Da un articolo di Davide Casati uscito sul 
Corriere della Sera (14.4.15) con il titolo "Gli avvocati temono l'impopolarità. Nessuno si batte contro le nozze gay"", pubblichiamo i passi principali. 
La vicenda riguarda la discussione della Corte Suprema degli USA sui matrimoni gay in quattro Stati, prevista il 28 aprile. 
I grandi studi legali, incaricati di battersi contro le nozze gay, lasciano l'incarico temendo l'impopolarità.
Forse già intuiscono la vittoria di Hillary Clinton  
come futuro presidente.

Hanno difeso i produttori di sigarette dall'accusa di aver mentito ai clienti sulla pericolosità di quel che aspiravano. E non hanno negato la loro assistenza a chi voleva che le scuole pubbliche rimanessero luoghi di segregazione razziale. 
Ma nessuno dei più famosi studi legali degli Stati Uniti si batterà, il prossimo 28 aprile, contro il diritto degli omosessuali a sposarsi. E questo anche se i giudici della Corte Suprema potrebbero richiedere a tutti gli Stati, con una sentenza destinata a entrare nella storia, di garantire ai gay la possibilità di contrarre matrimonio.
   Il tema è di portata enorme: in 11 anni, gli Stati americani che permettono le nozze omosessuali sono passati da uno (il Massachusetts, nel 2004) a trentasette. Un cambiamento rapido e massiccio. Che però non gode del consenso di ampie fette — circa il 40 per cento — della società americana. Decine di milioni di americani, che non hanno trovato nessun grande studio legale disposto a rappresentarli davanti alla Corte Suprema. 

A Causare questa disparità - e a sottolineare la sua anomalia - è il New York Times. Ma le ragioni, spiega al Corriere Suzanne B. Goldberg, docente alla Columbia Law School, sono chiare. «C'è la convinzione, diffusa, che non vi siano argomenti legali credibili contro il diritto dei gay, spiega. Ma alla radice della scelta dei partner delle law firm ci sono anche motivazioni economiche: «I grandi studi hanno interesse a creare un ambiente privo di discriminazioni contro gli impiegati, i loro amici o i loro familiari. La difesa di leggi che vanno in direzione opposta li danneggerebbe». In altre parole: apparire bigotti («quasi razzisti», specifica il Times) potrebbe far perdere clienti (oggi) e i migliori studenti delle law schools (domani).
    A dare consistenza a queste spiegazioni c'è il fatto che persino l'avvocato che si opporrà ai matrimoni gay davanti alla Corte Suprema, John J. Bursch, sia stato abbandonato dal suo studio, Warner Norcross & Judd. «Questo caso genera emozioni forti per i nostri clienti, il nostro staff e i nostri avvocati», ha spiegato il legale ai vertici dello studio, Douglas E. Wagner. Non è il primo caso: quattro anni fa uno dei principi del foro americani, Paul D. Clement, venne lasciato solo dal suo studio, il prestigioso King & Spalding, in una causa legata ai diritti degli omosessuali. Tanto da spingerlo a dimissioni, che fecero clamore nel mondo legale Usa: «Non si può abbandonare un cliente» scrisse Clement, «solo perché la sua posizione è impopolare».
   Oggi il caso si ripete. E Ryan Anderson, studioso (apertamente anti-matrimonio gay) della Heritage Foundation, vede dietro alle scelte degli studi legali l'imporsi di un pensiero unico destinato a trasformarsi in una mancanza di libertà. «Noi crediamo che il matrimonio sia l'unione tra un uomo e una donna. Ed è un problema se si inizia a ritenere che pensare dice al Corriere. «È questo che i nostri avversari vogliono: che la legge tratti chi la pensa così come razzisti.
    La risposta, per la professoressa Goldberg, è un chiaro sì: la sentenza della Corte Suprema vincola non chiese e gruppi religiosi, ma entità governative e esercizi commerciali che operano in pubblico. E poi, spiega la docente, i giudici si pronunceranno solo in base a un principio: «Tutti i cittadini devono essere trattati in modo uguale dal loro governo. E nessuno», nemmeno il più grande dei legali, «può strappare loro questa garanzia».