In seguito alcuni passi dell'articolo di Andrea Brancolini "Maschio e femmina, padre e madre, genitore 1 e genitore 2: una sfida culturale" uscito sulla rivista L'UNIONE, bimestrale cattolico (Villasanta, Monza) nel febbraio 2014
"Fino a non molti anni fa si poteva leggere nei manuali di psicologia e psichiatria riguardo all’omosessualità, che essa era da considerarsi una patologia d’identità. Oggi questa dizione è stata espunta dai manuali, ma che cosa dicono gli psicologi a riguardo? Si è effettivamente prodotto a livello scientifico, come i ben pensanti usano dire per avvalorare le loro opinioni, un risultato tale da provare in- controvertibilmente che essa, l’omosessualità, ed ogni altra forma d’identità sessuale che non sia conforme al corpo dato, sia di fatto non patologica?
Chi ha modo di leggere, sondando la sterminata bibliografia a riguardo, alcuni testi di psicologi provati, s’imbatte in una letteratura fatta di prudenza e tutela per l’individuo e, insieme, di casi clinici.
Una letteratura, cioè, che non affronta il problema a partire da una pretesa “nuova sensibilità epocale”, presuntivamente affermata come più emancipata e rispettosa della precedente, bensì che offre una miriade di racconti, di fatti carichi di sofferenza e fatica, di contraddizioni e rimorsi emersi proprio dal lettino dello psicanalista, nel dialogo con lui, nell’ascolto clinico di chi vive la fatica d’assumere la propria identità di genere, oppure l’ha assunta al di là del rapporto col proprio corpo. Una fatica che si consuma in una società che pare aver abbandonato l’individuo in questo compito irrimandabile e irrinunciabile. In un libro sicuramente pacato ed equilibrato in merito: “Il padre dov’era: le omosessualità nella psicanalisi.”, così argomenta l’autore G. Ricci: “Il tema dell’identità a livello sociale è divenuto negli ultimi anni sempre più ricorrente. Nel tempo della globalizzazione, della realtà virtuale, degli avatar e delle chat, della diffusione dei social network ed internet, la questione dell’identità risulta centrale.
Da una parte è sempre più necessario e funzionale alla stabilità del corpo sociale, dall’altra rispecchia il tempo della precarietà, la logica improvvisa dei mutamenti, la velocità dei giochi sociali [e virtuali] degli scambi e delle relazioni. Sia nell’economia psichica dell’individuo sia nel suo porsi sociale, il primo grado dell’identità procede dall’appartenenza ad un genere. Rispetto al genere maschile, mai quanto oggi risulta in crisi il modello di virilità proposto dalla società. All’uomo ipermoderno – non più connotabile mediante l’icona di guerriero, condottiero, intellettuale o artista - rimane ben poco come modello ideale a cui rivolgersi. La società consumistica punta alla produzione e riproduzione del consumatore unisessuato dove le differenze tra i sessi si uniformano, si sovrappongono, si mescolano”.
Quindi tocca a noi riprendere consapevolmente una posizione forte, ma non dura, in quanto non c’è nulla da difendere, piuttosto dobbiamo essere in grado di riagganciare la generazione dell’umano laddove essa avviene: nella famiglia prima e nella società poi, quasi come una sua emanazione. Dobbiamo cioè tornare a presiedere quei luoghi che un tempo erano abitati da figure-icone facilmente riconoscibili da tutti e in cui tutti, o quasi, con facilità si riconoscevano e a partire dalle quali assumevano la loro identità di genere. Quei luoghi hanno bisogno di nuovi protagonisti politici capaci di testimoniare una coerenza di vita rispetto alle idee che li rappresentano e agli uomini che rappresentano.
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