Intorno all'attuale dibattito intorno alla maternità e all'utero in affitto pubblichiamo l'intervento di Luciana Piddiu dal titolo: L’organizzazione tayloristica della produzione dei bambini.
Nelle recenti interviste a Niki Vendola esalano dal testo fiumi di miele dorato e gocce di zucchero caramellato. Tuttavia non sono sufficienti a nascondere un fatto nudo e crudo: il piccolo Tobia - venuto al mondo per il grande desiderio di due uomini che aspirano a essere genitori - nasce sotto il segno della privazione.
Gli è stato negato il piacere straordinario di aspirare il profumo di un tenero corpo di donna, di sentire la morbidezza di un seno da cui trarre nutrimento e godimento. Questa privazione – prevista da un regolare contratto stipulato con la donna che ha messo a disposizione il proprio corpo- non sarà che la prima. Altre ne seguiranno. Quando arriverà, e prima o poi arriverà, il tempo della domanda sulle origini, basterà un collegamento via Skype con la venditrice di gameti o con la donna che ha ceduto in affitto temporaneo il suo utero, per soddisfare il bisogno di rispecchiamento che ogni figlio – al momento del distacco - opera nei confronti di chi gli ha dato la vita per crescere e divenire adulto?
Questo bambino che comincia il suo percorso per divenire umano come parte disconnessa fin dallo stato embrionale, soffrirà o no di questo sradicamento di base voluto e programmato da chi ripete come un mantra di volergli bene? di volere il suo bene?
Per scelta altrui sarà fin da subito un nomade, separato una prima volta dalla madre genetica, una seconda da quella gestazionale, mentre tutti gli studi sullo sviluppo psichico sottolineano l’importanza della relazione con la madre e la centralità dell’allattamento al seno.
Poiché però i gameti portano - che ci piaccia o no - nella generazione del figlio traccia del profilo personale di colui/colei cui appartengono, e questa eredità genetica è parte fondante della nostra struttura personale, cosa si dirà un domani ai figli nati in laboratorio, attraverso un processo di frammentazione e disintegrazione della maternità, quando non potranno riconoscersi/rispecchiarsi nella coppia omo o etero che li ha così programmati?
Gli è stato negato il piacere straordinario di aspirare il profumo di un tenero corpo di donna, di sentire la morbidezza di un seno da cui trarre nutrimento e godimento. Questa privazione – prevista da un regolare contratto stipulato con la donna che ha messo a disposizione il proprio corpo- non sarà che la prima. Altre ne seguiranno. Quando arriverà, e prima o poi arriverà, il tempo della domanda sulle origini, basterà un collegamento via Skype con la venditrice di gameti o con la donna che ha ceduto in affitto temporaneo il suo utero, per soddisfare il bisogno di rispecchiamento che ogni figlio – al momento del distacco - opera nei confronti di chi gli ha dato la vita per crescere e divenire adulto?
Questo bambino che comincia il suo percorso per divenire umano come parte disconnessa fin dallo stato embrionale, soffrirà o no di questo sradicamento di base voluto e programmato da chi ripete come un mantra di volergli bene? di volere il suo bene?
Per scelta altrui sarà fin da subito un nomade, separato una prima volta dalla madre genetica, una seconda da quella gestazionale, mentre tutti gli studi sullo sviluppo psichico sottolineano l’importanza della relazione con la madre e la centralità dell’allattamento al seno.
Poiché però i gameti portano - che ci piaccia o no - nella generazione del figlio traccia del profilo personale di colui/colei cui appartengono, e questa eredità genetica è parte fondante della nostra struttura personale, cosa si dirà un domani ai figli nati in laboratorio, attraverso un processo di frammentazione e disintegrazione della maternità, quando non potranno riconoscersi/rispecchiarsi nella coppia omo o etero che li ha così programmati?
Gli si dirà che per il desiderio incoercibile e sacrosanto di chi lo ha voluto figlio di un alambicco, è stato adottato il principio della organizzazione tayloristica della produzione dei bambini che richiede la scomposizione in tre tappe differenti (ovulo-utero-genitorialità) senza alcuna connessione tra loro della fabbricazione del bambino come prodotto finito e pronto alla consegna!
La tanto vituperata organizzazione tayloristica del lavoro che aliena il soggetto della produzione dal frutto del suo lavoro e dal senso della propria attività qui, dove è in gioco il vivente, viene invece paradossalmente contrabbandata come cosa buona e giusta.
Certo, come ben sapevano gli antichi romani, la genitorialità è anche e soprattutto filiazione e quindi trasmissione simbolica, ma da qui a dire che il legame biologico non conta nulla, che va smitizzato - come Recalcati va affermando - ce ne corre! La sua affermazione (“la madre non ha genere sessuale”) è una pura affermazione ideologica per compiacere il mainstream della ‘usine à bébé’ globalizzata.
A quando il tripudio di gioia e le fanfare per i tentativi, condotti in gran segreto negli Usa (Harvard Medical school), di fabbricazione di genoma umano sintetico? Si nascerà orfani finalmente e finalmente liberi dal debito di gratitudine verso chi ci ha dato la vita!
E veniamo alla scienza che viene tirata in ballo come se fosse sua la responsabilità della rottura del codice di trasmissione della vita umana e della deriva mercantile dei processi di generazione degli esseri umani. Oggi intanto -grazie alla scienza - sappiamo quanto siano importanti le strutture genetiche nel contribuire a formare il profilo individuale di ciascuno e quindi è disonestà intellettuale negarlo.
Ciò detto la scienza non è certo responsabile dell’attuale mercato globale della compravendita di viventi interi o a pezzi più di quanto non lo sia dello sganciamento dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki. Cosi come non si può certo imputare alla scienza la riduzione della donna a corpo – macchina produttrice di bambini a pagamento! Dire questo significa declinare e nascondere la propria responsabilità nelle scelte usando la scienza come comodo paravento.
In ogni caso oggi è arrivato il momento per dire con forza che se la scienza fa proprie le ragioni del mercato cannibale che riduce a merce gli esseri – rubricandoli come risorse da valorizzare - va operato uno stretto controllo da parte di tutti, e della politica in primis, verso le sperimentazioni capaci di alterare il codice stesso della vita, le prospettive biologiche e materiali dell’ambiente.
Questa disastrosa incapacità di fissare dei limiti, questa attitudine a giocare agli apprendisti stregoni in un crescendo di delirio di onnipotenza, questo provare a fare tutto ciò che è possibile fare con le nuove tecnologie, abbandonando qualsiasi principio di precauzione è francamente stupido oltreché foriero di futuri disastri...
Come acutamente aveva osservato Günther Anders, l’uomo moderno per effetto della tecnologia che tocca ogni sfera della vita, ha profondamente cambiato la percezione che ha di se stesso. “Vuole fare se stesso, non già perché non sopporta più nulla che egli stesso non abbia fatto; ma perché non vuole essere qualcosa di non fatto... Nella sua qualità di non fatto è inferiore a tutti i suoi prodotti fabbricati”. Il nascere da un processo “cieco e non calcolato” e antiquatissimo come quello della procreazione naturale è all’origine della sua vergogna prometeica! La vergogna che nasce dal constatare che i prodotti fabbricati sono superiori a lui perché eterni, in quanto riproducibili, sostituibili performanti, mentre lui è fragile, si ammala e non gode dell’immortalità. L’uomo moderno si sente inadeguato rispetto a loro, non riesce a tenere il passo perciò si vergogna.
Io penso da laica e non credente che sicuramente i bambini nati in laboratorio saranno amati e protetti – non è questo il punto - ma ridurre l’essere umano a cosa, la donna a puro contenitore non può essere giustificato da nessun desiderio o bisogno o interesse comunque mascherato.
Condivido profondamente quanto scrisse a suo tempo Augusto Ponzio: ”Contro la prospettiva della valorizzazione del capitale umano, nel senso del valore di scambio e del profitto, occorre rivendicare al più presto e con forza il diritto all’infunzionalità. Il diritto alla vita fino a quando non lo si colleghi alla infunzionalità resta dentro una visione dell’essere umano come MEZZO (...) ridotto a capitale da valorizzare...”. E questo vale anche per il bambino a cui si da’ l’onere di soddisfare il desiderio degli adulti, costi quel che costi. (Viterbo, 1 Luglio 2016)
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